Federico
II di Svevia, stupor mundi, genio premoderno
Nel 1956, all’età di 16 anni, quando ho visitato per la prima
volta la cattedrale di Palermo insieme ai miei genitori, sono rimasto molto
colpito dalle tombe dei quattro re normanni ma soprattutto dalla tomba
di Federico II Hohenstaufen, re di Svevia. Sulla tomba, imponente
nella sua severa magnificenza, c’era una ghirlanda di fiori freschi con
una inscrizione in tedesco. Questo era il mio primo incontro con
l’imperatore e fu un’esperienza indimenticabile.
Chi era quest’uomo eccezionale che aveva suscitato tanta ammirazione
tra i suoi contemporanei? Nato il 26 dicembre 1194 a Iesi, nelle
Marche, Federico era il figlio di Enrico VI (figlio di Federico
Barbarossa) e di Costanza d’Altavilla, l’ultima erede dei re Normanni.
All’età di quattro anni, dopo la morte di entrambi i genitori, fu
incoronato a Palermo re di Sicilia sotto la reggenza del Papa Innocenzo
III. A 14 anni fu dichiarato maggiorenne e un anno dopo sposava Costanza
d’Aragona, vedova del re d’Ungheria e di circa dieci anni più
anziana di lui, che gli darà il primogenito Enrico (Enrico VII,
re dei Romani). Nel 1215 fu incoronato re di Germania ad Aquisgrana
(ora Aachen), seguendo l’esempio di Carlo Magno, e nel 1220 fu incoronato
imperatore del Sacro Romano Impero a Roma dal Papa Onorio III.
La conquista dei titoli era finita, ora restava la conquista del potere
reale che cominciò con la sottomissione dei baroni ribelli in Sicilia.
Questo atto gli procurò la fama di essere al tempo stesso un amministratore
efficace e un tiranno brutale e autocratico. Queste due opinioni
opposte resteranno con lui fino alla morte e lo seguiranno fino ad oggi.
Dopo la Sicilia era it turno di Napoli, dove nel 1224 Federico, con
la guida di Michele Scoto, astrologo, matematico, filosofo e diffusore
delle teorie arabo-aristoteliche di Averroè, fondò la prima
università laica di stato per educare i futuri giuristi dell’impero.
Tommaso d’Aquino ne sarà uno degli studenti più illustri.
Costanza morì nel 1222 e nel 1225 Federico sposò Isabella-Iolanda
di Brienne, figlia del re di Gerusalemme, che gli portò in dote
la corona di Gerusalemme. La regina morì nel 1228 dando alla
luce il figlio Corrado. La sua terza moglie fu Isabella, sorella
di Enrico III re d’Inghilterra, che gli darà un figlio anche
lui chiamato Enrico.
In Germania la sua politica fu molto diversa. Consapevole di non
poter governare a distanza e preferendo vivere in Italia, elargì
privilegi e una certa libertà ai principi, incoraggiando il nuovo
ordine militare dei cavalieri teutonici e causando la debolezza del governo
centrale che continuerà fino a Bismark.
Gli stati dell’Italia del nord, e soprattutto la Lombardia, ponevano
un problema difficile a Federico: erano importanti per proteggere
le linee di comunicazione con la Germania ma erano gelosi della propria
indipendenza; inoltre erano incoraggiati dalla chiesa a lottare contro
il governo imperiale quando i Papi si accorsero che Federico II non rispettava
più l’immunità degli stati pontifici. In seguito dunque
l’imperatore assediò le città di Vicenza, Cremona, Brescia,
Ravenna, Faenza e Parma e invase lo stato pontificio. L’invasione
fu uno dei motivi per cui fu scomunicato parecchie volte. Una lunga
serie di campagne militari causò il suo indebolimento fisico e la
sua morte prematura all’età di 55 anni il 13 dicembre 1250, a Castel
Fiorentino, in Puglia.
Ancora non abbiamo discusso le molte imprese di Federico II, una delle
quali è la crociata. Il Papa aveva incoronato Federico
a condizione che il nuovo imperatore reconquistasse la Terrasanta, ma Federico
procrastinò a lungo e alla fine ruscì a riaprire i pellegrinaggi
in Palestina non con la guerra ma per mezzo di trattative diplomatiche.
Un altro successo fu la Costituzione di Melfi, codificazione
dei diritti imperiali di grande importanza fatta con l’aiuto del grande
giurista Pier delle Vigne. Con la riduzione dell’ascendenza dei nobili
feudali, la strada era preparata a un sistema di governo centralizzato
e a un potere monarchico quasi assoluto.
Federico era di spirito pratico ma aveva molto interesse per la natura,
gli animali, (soprattutto gli uccelli) e gli esperimenti biologici.
Il suo trattato De arte venandi cum avibus è uno studio di
alto valore scientifico basato sulla sua osservazione.
Alla sua corte nacque, secondo Dante, la poesia vernacolare.
Là Pier delle Vigne scrisse il primo sonetto e Federico stesso scrisse
delle liriche che ci sono pervenute. In generale la corte di Palermo
era un grande centro di cultura in ogni campo, dove fiorivano arte, filosofia,
lo scambio di idee con i paesi arabi e dove ebbe luogo la traduzione di
molti testi in lingua orientale. Ne risultò una certa tolleranza
anche religiosa fra latini, greci, ebrei e mussulmani che però era
in conflitto con il carattere autocratico di Federico.
Il rapporto di Federico con la religione cristiana era molto difficile:
da un lato partecipò con devozione alla canonizzazione della cugina
Elisabetta di Turingia, senza dubbio la più popolare di tutti i
santi tedeschi, e condivise le idee di San Francesco d’Assisi per un ritorno
alla povertà evangelica della chiesa. Ma Federico voleva la
povertà della chiesa per arricchire l’impero, cioé se stesso
e di conseguenza questi suoi atteggiamenti lo portarono ad un conflitto
amaro, anzi mortale, con la Santa Sede. Dopo averlo scomunicato ben
due volte, i Papi vollero distruggere definitivamente la dinastia sveva
degli Hohenstaufen e sostituirla con un’altra. Per alcuni decenni
ci fu una guerra aperta tra il papato e l’impero, l’ultimo capitolo del
lungo conflitto per le investiture. Le due potenze usaro la propaganda,
l’una denunciando Federico e l’altra denunciando il Papa come l’Anticristo.
Questa grave accusa fu usata nello stesso modo nei secoli seguenti; infatti,
dopo la scomunica, Lutero la usò contro il Papa e ancor oggi viene
usata negli ambienti fondamentalisti, con effetto dannoso ai rapporti amichevoli
tra le chiese.
Uno degli aspetti più delicati di questo conflitto tra Federico
e la chiesa riguarda il controllo dell’insegnamento della fede e la punizione
degli eretici. Federico voleva controllare il pensiero, l’insegnamento
e la teologia e il Papa non poteva accettare una tale intromissione negli
affari della chiesa. Federico voleva che l’eresia fosse identificata
con il tradimento, rendendola perciò punibile dallo stato.
Inoltre introdusse la pena capitale, cioè l’usanza tedesca di mettere
al rogo gli eretici. La chiesa non poteva accettare questa intromissione
e insisteva nel diritto di controllare il processo degli eretici, dopo
il quale avrebbe trasferito il condannato allo stato per la somministrazione
della pena.
E’ da qui che ha origine l’Inquisizione. Oggi deploriamo questo
triste capitolo nei rapporti tra la Chiesa e l’Impero, sopprattutto l’uso
del segreto durante il processo, l’uso della tortura, la severità
delle pene, il rogo, la confisca dei beni. Tutto questo è
lontano dallo spirito del Vangelo, ma posto nel contesto dell’epoca è
più comprensibile anche se non scusabile.
Il lato crudele di Federico II viene rivelato nella sorte della sua
famiglia. Il primogenito, Enrico VII, re dei Romani, tentò
una ribellione contro il padre, fu imprigionato e preferì il suicidio.
Il secondogenito, Corrado, morì di febbre all’età di 26 anni.
L’altro figlio Enrico fu assassinato a 15 anni. Manfredi, figlio
illegittimo e prediletto, morì nella battaglia di Benevento pochi
anni dopo la morte del padre. Dante ne parla nel terzo canto del
Purgatorio: “Biondo era e bello, e di gentil aspetto” (v. 108)
Dice Manfredi:
“Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha si gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.” (vv. 121-123)
“Per lor maledizion sì non si perde
che non possa tornar l’etterno amore,
mentre che la speranza ha fior del verde.” (vv. 133-135)
L’ultima speranza della dinastia e del partito ghibellino era il figlio
di Corrado, il bel Corradino di Svevia. Sconfitto nella battaglia
di Tagliacozzo e preso prigioniero da Carlo d’Angiò, fu decapitato
nel mercatodi Napoli.
La Santa Sede intanto stava preparando altre tre dinastie per sostituire
gli Hohenstaufen: nell’Italia meridionale gli Angiovini, che dopo
i Vespri Siciliani saranno rimpiazzati dagli Aragonesi; e in Germania
gli Asburghi, che continueranno a governare fino alla prima guerra mondiale.
Conclusione.
Nel ventesimo secolo la figura complessa e ambigua di Federico II è
stata sfruttata dal biografo e politologo Ernst Hartwig Kantorowicz (1895-1963).
Membro del circolo poetico di Stephen George, la scuola letteraria dominante
durante la Repubblica di Weimar (1918 – 1932), nel 1927 Kantorowicz pubblicò
un’estesa biografia di Federico in due volumi che fu subito tradotta in
inglese, italiano e francese. In Germania ebbe grande successo e
divenne il libro di storia più influente dell’epoca. Il Federico
di Kantorowicz è il padre del Rinascimento, il rivale di Alessandro
Magno, colui che riportò alla luce i classici e contribuì
immensamente allo spirito umano. Secondo questa versione, Federico
era di una forza primordiale, possedeva un’intelligenza superiore, era
paragonabile a Cesare e Napoleone ed era tedesco fino al midollo.
Benché morto, continuava a vivere aspettando di redimere il popolo
tedesco che non aveva capito la sua vera grandezza quasi divina.
Kantorowicz fece più che raccontare leggende medioevali: il
suo linguaggio, le sue iperboli, la sua imprecisione, la sua approvazione
estatica comunicano un punto di vista molto tendenzioso, direi erotico,
verso il suo personaggio e suggeriscono che egli credeva in queste leggende
e le considerava verità profonde applicabili alla Germania sofferente
della sua epoca. La sua è storia come poesia politica dal
“linguaggio ampolloso e isterico” (Peter Gay, Weimar Culture. NY:
Harper, 1968, pp.49-56).
La glorificazione di Federico in questa biografia come eroe amorale,
forte e autocratico preparava l’intellighenzia tedesca ad accettare un
simile leader e creerà la debolezza della la repubblica di Weimer
con i risultati catastrofici che ben conosciamo. Chi tocca Federico
non scappa senza macchia.
Questo spiega l’interesse su Federico che continua nei nostri tempi
e la ghirlanda fresca sulla sua tomba con l’iscrizione scritta in tedesco
che ho visto durante la mia gioventù.
Benedict Thomas Viviano, O.P.
Università di Friebourg, Svizzera
Bibliografia breve:
Kantorowicz, E.H., New York: Ungar, 1957 reprint. Frederick the
Second, 1194 – 1250.
Van Cleve, T.C., The Emperor Frederick II of Hohnestaufen, Immutator
Mundi. Oxford: Clarendon, 1972.
Viviano, B.T., The Kingdom of God in History. Collegeville, MN:
Liturgical Press, 1988. |