Mamma,
pupetta, africanina o vipera?
Anna Di Palma Amelung |
La riunione del 4 dicembre si è svolta in un’atmosfera festiva e
canora, con libagioni di spumante, grazie alla generosità di Baldo,
fiori e cioccolatini offerti dall’agenzia viaggi di Nerina Giannotti, e
un eccellente programma sulle vecchie canzoni italiane presentato dalla
bravissima Anna Di Palma Amelung. L’improvviso maltempo che
ha costretto una ventina di invitati a cancellare la loro presenza non
ha diminuito l’entusiamo della quarantina di persone che impervi alle intemperie
si sono presentati fedeli e puntuali per partecipare al nostalgico programma,
intitolato Mamma, pupetta, africanina o vipera? che
ci ha portati in un viaggio musicale, accompagnato da immagini autentiche
dell’epoca proiettate sullo schermo, che ha seguito lo sviluppo della cosiddetta
“canzonetta” italiana.
Benché la canzone
italiana abbia ormai più di cent’anni, solo di recente i critici
hanno cominciato a studiarla come genere musicale da rispettarsi al pari
dell’opera e della musica classica. La canzone infatti presenta aspetti
di importanza capitale per una migliore comprensione della società
italiana e del suo sviluppo. Anche sul piano linguistico la canzone
assume un posto di rilievo agli inizi del Novecento, soprattutto con l’avvento
dell’industria discografica che impone sempre più la lingua italiana
come mezzo privilegiato di comunicazione invece del dialetto fino allora
usato dalla maggioranza degli italiani. È importante anche
ricordare che l’italiano si impone praticamente come lingua nazionale solo
durante la prima guerra mondiale, quando soldati da tutta Italia si ritrovano
nelle trincee e devono rinunciare alle loro parlate dialettali per adottare
l’italiano come solo mezzo efficace di comunicazione.
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Il desiderio di cantare, presto soddisfatto dal proliferare dei dischi,
è accompagnato da un gran desiderio di ballare. Nel 1913 esplode
la febbre del tango, ballo “lascivo e peccaminoso”, seguito poi da altri
balli, quali il fox-trot e il charleston che, a partire dal l925, scandalizzerà
e divertirà tutta l’Italia e permetterà alle donne di accorciare
le gonne, diventando quindi un simbolo dell’emancipazione femminile.
Così anche la canzone italiana si adegua ai tempi e diventa sempre
più cantabile, con frasi melodiche più corte e perciò
più adatte alla danza. Si può quindi dire che la vera
canzone italiana nasce verso la fine della prima guerra mondiale, con la
sua emancipazione dallo stile operistico e dalla romanza da salotto che
imperava alla fine dell’Ottocento. Anche il linguagggio cambia e
diventa molto più vicino alla parlata quotidiana, si fa più
semplice, più moderno, più spontaneo.
La prima delle canzoni
scelte da Anna per rappresentare il periodo storico prescelto, (1925-1940)
è stata
Creola, (Ripp, 1925, interpretata da Claudio
Villa). Al ritmo del tango, la canzone ritrae una bellezza bruna,
languida, esotica e sensuale. Le parole, diventate ormai proverbiali
(“straziami, ma di baci saziami”, “che bei fior carnosi, son le donne dell’Avana”)
rivelano una punta di umorismo e forse anche d’ironia che non deve essere
sfuggita agli ascoltatori ma che anzi contribuisce al fascino del motivo. |
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Lanciata
da Isa Bluette, divenne ben presto simbolo della sfrontatezza delle donne
dal “sangue torrido” di cui l’uomo diventa vittima consenziente e da cui
vuole essere straziato - questa volta da una bella cubana sana, polposetta
e lussuriosa circondata da “odori perfidi”. Canzone divertente e
orecchiabile che ha avuto un grande successo grazie a famose interpretazioni
come quella di Milva. |
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Gli anni
venti e trenta vedono continuare la polemica fra il Novecento e l’Ottocento,
cioè la lotta fra il modernismo (e con esso una maggior libertà
per la donna), e il tradizionalismo ancorato agli antichi valori della
società patriarcale. Nel 1933 Zara 1a (al secolo Giulia Cerasaro)
interpreta
Popolanella (Martelli-Marchionne-Ruccione, 1933),
una canzone che contrasta l’immagine tradizionale della donna italiana
(semplice, popolana, modestamente vestita) e la nuova immagine della donna
del Novecento, molto più spigliata e truccata, che cerca il lusso
e un marito facoltoso. In questo tipo di canzone si sente la nostalgia
di un’epoca pressocché finita che non tornerà mai più,
l’epoca della donna sottomessa all’uomo, della popolana innocente e pudica.
Ed è questa immagine che il fascismo promuove, insieme a quella
del ritorno alla vita sana e semplice dei campi, per mantenere l’ordine
stabilito ed evitare possibili contestazioni politiche. |
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Ria Rosa (pseudonimo di Maria Rosaria Liberti) si fa invece interprete
di canzoni femministe che sono l’eccezione piuttosto che la regola.
Soprannominata “la nonna del femminismo italiano”, Ria Rosa porta alla
ribalta canzoni in cui rivendica il diritto della donna moderna di vestirsi
come vuole, la libertà fisica di andare dove vuole e di fare ciò
che le pare. Preferisco il ’900 (Fusco-Valente, 1937)
è diventata il manifesto musicale delle rivendicazioni femministe.
Come dice Ria Rosa, “la donna d’oggi, è inutile negarlo, non è
più la vile ancella, oggi abolisce in pieno la gonnella”, e decide
che le piace fumare, mettere “ ’o rimmelle” e anche far parlare i giornali
di lei. Belle canzoni in dialetto napoletano che propongono l’immagine
di una donna forte, dalla voce anche un po’ “sguaiata”, ma che in realtà
si inserisce nella lunga tradizione del matriarcato partenopeo.
Nel 1936 Rampoldi e Malinverno
composero
Africanina, marcetta dal motivetto accattivante
e dalle immagini vagamente sensuali. |
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La ragazza
diventa una “pupetta mora” dalle labbra carnose che ancora una volta sarà
salvata e liberata dagli intrepidi soldati italiani e imparerà a
baciare “alla garibaldina” (chissà come baciava Garibaldi?).
Per completare il bel quadretto familiare la bella africanina avrà
tanti figli (tutti maschi, si capisce!) che si chiameranno tutti Balilla!
Canzone del regime fascista, ma soprattutto canzone che rappresenta le
aspirazioni di tanti giovani soldati che erano davvero convinti di portare
in Africa civiltà e libertà e che, non dimentichiamolo, apprezzavano
molto il fascino delle belle africanine, soprattutto quando non indossavano
la camicia (nera o no). La retorica fascista si fa sentire anche qui, però
offuscata dal ritratto di questa bella ragazza sana e naturale, dalle labbra
carnose e gli occhi dolci.
Questa galleria di ritratti
femminili non può essere completa senza l’immagine della sposina.
C’è una casetta piccina, (Valberga-Prato, 1940, cantata
da Alberto Rabagliati) diventò l’inno al matrimonio italiano.
Più conosciuta col titolo Sposi , questa canzone ebbe un
successo enorme grazie alla calda voce vellutata di Rabagliati che divenne
l’idolo canoro degli anni quaranta. Gli autori concentrano in pochi
versi ingredienti da favola: la casetta piccina, i fiori, la sposina
come una fata, il sogno d’amore avverato. Ma un nuovo elemento interviene
nel rapporto coniugale, un’altra figura “femminile”: la radio. La
grande aspirazione degli innamorati è di trascorrere serate piacevoli
ad ascoltare la radio: “La porta noi chiuderemo, quando la sera verrà.
Presso la radio saremo, che felicità!” La radio assicura dunque
la stabilità e la felicità della coppia italiana. La
radio informa, unisce, diverte e rassicura, diventando in un certo senso
una nuova “mamma”. La favola prende un tono inaspettatamente moderno,
mentre gli ascoltatori si lasciano trascinare dalla bella melodia e dalla
voce inconfondibile di Rabagliati. È bene ricordare che la
radio italiana, nata nel 1924 come U.R.I.(Unione Radiofonica Italiana)
sotto il controllo del governo fascista, diventerà l’E.I.A.R. (Ente
Italiano Audizioni Radiofoniche) nel 1927 e avrà un’importanza capitale
nello sviluppo e successo della musica leggera nostrana.
L’interessante carrellata
canora si è conclusa con l’immagine femminile italiana più
famosa nel mondo, quella della mamma, e la canzone che l’ha resa celebre,
Mamma
(Cherubini-Concina-Bixio, 1940) interpretata da Beniamino Gigli.
Il critico Paolo Isotta spiega l’incredibile successo di questa canzone
sottolineando il fatto che Beniamino Gigli, con la sua bella “voce cristallina,
rappresentò l’immagine di un’Italia frugale e contadina, avviluppata
nella rete del sentimento, che vorremmo fosse eterna. A tutti i colpevoli
di reticenza, suona addirittura in senso catartico: ècome se, ascoltandola,
o rievocandone il motivo, celebrassimo il perdono per ciò che non
pronunciammo mai.” Canzone romantica che ci riconcilia al nostro
passato patriarcale dominato dalla figura onnipresente della mamma dolce
e sofferente.
Mamma, sposina, africanina,
popolanella, contestataria, esotica, nostrana, la donna è sempre
presente nella canzone italiana. Ed è suprattutto grazie a
questi motivi che tutta un’epoca passata può ancora mostrare i suoi
valori e la sua vitalità. Studiare la musica leggera è
un modo piacevole e vivace di ripercorrere la storia e di ritrovare avvenimenti,
sentimenti e sensazioni ormai offuscati dal tempo.
Molte grazie ad Anna
per la bellissima serata. Le canzoni italiane fanno parte dei molti
interessi della nostra presentatrice, che ci ha promesso di continuarne
la storia in future riunioni. Saremo ben felici di ripetere questa
piacevole esperienza! Anna Di Palma Amelung, ben nota sia all’Italian
Club of St. Louis che a Italiano per piacere per le sue
interessanti conferenze, è la Presidente del Classical Club
e insegna latino e francese alla University City High School. |
Baldo Gandolfo e Armando Pasetti
con Mamma
MAMMA
Mamma, son tanto felice
perchè ritorno da te.
La mia canzone ti dice,
è il più bel giorno
(sogno) per me.
Mamma, son tanto felice,
viver lontano perchè,
mamma, solo per te la mia canzone
vola.
Mamma, sarai con me tu non sarai
più sola.
Quanto ti voglio bene,
queste parole d'amore,
che ti sospira il mio cuore,
forse non s'usano più.
Mamma, la mia (ma la) canzone più
bella sei tu,
sei tu la vita
e per la vita non ti lascio mai più.
Sento la mano tua stanca
cerca i miei riccioli d'or.
Sento (sempre) la voce ti manca,
la ninna nanna dal cor.
Oggi la testa tua bianca
io voglio stringer al cuor.
Mamma, solo per te la mia canzone
vola.
Mamma,sarai con me tu non sarai più
sola.
Quanto ti voglio bene,
queste parole d'amore,
che ti sospira il mio cuore,
Forse non s'usano più.
Mamma, la mia canzone più
bella sei tu,
sei tu la vita
E per la vita non ti lascio mai più.
Quanto ti voglio bene,
queste parole d'amore
che ti sospira il mio cuore
forse non s'usano più.
Mamma, la mia canzone più
bella sei tu,
sei tu la vita
e per la vita non ti lascio mai più.
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