Riunione del 4 dicembre 2002
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per ingrandirle - Selezionate "Riunioni" per ritornare all'indice delle riunioni. Narrativa a cura di  Anna Amelung e Luisa Gabbiani Flynn.
 
Mamma, pupetta, africanina o vipera?

Anna Di Palma Amelung
  La riunione del 4 dicembre si è svolta in un’atmosfera festiva e canora, con libagioni di spumante, grazie alla generosità di Baldo, fiori e cioccolatini offerti dall’agenzia viaggi di Nerina Giannotti, e un eccellente programma sulle vecchie canzoni italiane presentato dalla bravissima Anna Di Palma Amelung.  L’improvviso maltempo che ha costretto una ventina di invitati a cancellare la loro presenza non ha diminuito l’entusiamo della quarantina di persone che impervi alle intemperie si sono presentati fedeli e puntuali per partecipare al nostalgico programma, intitolato Mamma, pupetta, africanina o vipera?  che ci ha portati in un viaggio musicale, accompagnato da immagini autentiche dell’epoca proiettate sullo schermo, che ha seguito lo sviluppo della cosiddetta “canzonetta” italiana. 

   Benché la canzone italiana abbia ormai più di cent’anni, solo di recente i critici hanno cominciato a studiarla come genere musicale da rispettarsi al pari dell’opera e della musica classica.  La canzone infatti presenta aspetti di importanza capitale per una migliore comprensione della società italiana e del suo sviluppo.  Anche sul piano linguistico la canzone assume un posto di rilievo agli inizi del Novecento, soprattutto con l’avvento dell’industria discografica che impone sempre più la lingua italiana come mezzo privilegiato di comunicazione invece del dialetto fino allora usato dalla maggioranza degli italiani.  È importante anche ricordare che l’italiano si impone praticamente come lingua nazionale solo durante la prima guerra mondiale, quando soldati da tutta Italia si ritrovano nelle trincee e devono rinunciare alle loro parlate dialettali per adottare l’italiano come solo mezzo efficace di comunicazione. 
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   Il desiderio di cantare, presto soddisfatto dal proliferare dei dischi, è accompagnato da un gran desiderio di ballare.  Nel 1913 esplode la febbre del tango, ballo “lascivo e peccaminoso”, seguito poi da altri balli, quali il fox-trot e il charleston che, a partire dal l925, scandalizzerà e divertirà tutta l’Italia e permetterà alle donne di accorciare le gonne, diventando quindi un simbolo dell’emancipazione femminile.  Così anche la canzone italiana si adegua ai tempi e diventa sempre più cantabile, con frasi melodiche più corte e perciò più adatte alla danza.  Si può quindi dire che la vera canzone italiana nasce verso la fine della prima guerra mondiale, con la sua emancipazione dallo stile operistico e dalla romanza da salotto che imperava alla fine dell’Ottocento.  Anche il linguagggio cambia e diventa molto più vicino alla parlata quotidiana, si fa più semplice, più moderno, più spontaneo. 

   La prima delle canzoni scelte da Anna per rappresentare il periodo storico prescelto, (1925-1940) è stata Creola, (Ripp, 1925, interpretata da Claudio Villa).  Al ritmo del tango, la canzone ritrae una bellezza bruna, languida, esotica e sensuale.  Le parole, diventate ormai proverbiali (“straziami, ma di baci saziami”, “che bei fior carnosi, son le donne dell’Avana”) rivelano una punta di umorismo e forse anche d’ironia che non deve essere sfuggita agli ascoltatori ma che anzi contribuisce al fascino del motivo. 

   Lanciata da Isa Bluette, divenne ben presto simbolo della sfrontatezza delle donne dal “sangue torrido” di cui l’uomo diventa vittima consenziente e da cui vuole essere straziato - questa volta da una bella cubana sana, polposetta e lussuriosa circondata da “odori perfidi”.  Canzone divertente e orecchiabile che ha avuto un grande successo grazie a famose interpretazioni come quella di Milva.
   Gli anni venti e trenta vedono continuare la polemica fra il Novecento e l’Ottocento, cioè la lotta fra il modernismo (e con esso una maggior libertà per la donna), e il tradizionalismo ancorato agli antichi valori della società patriarcale.  Nel 1933 Zara 1a (al secolo Giulia Cerasaro) interpreta Popolanella (Martelli-Marchionne-Ruccione, 1933), una canzone che contrasta l’immagine tradizionale della donna italiana (semplice, popolana, modestamente vestita) e la nuova immagine della donna del Novecento, molto più spigliata e truccata, che cerca il lusso e un marito facoltoso.  In questo tipo di canzone si sente la nostalgia di un’epoca pressocché finita che non tornerà mai più, l’epoca della donna sottomessa all’uomo, della popolana innocente e pudica.  Ed è questa immagine che il fascismo promuove, insieme a quella del ritorno alla vita sana e semplice dei campi, per mantenere l’ordine stabilito ed evitare possibili contestazioni politiche.
   Ria Rosa (pseudonimo di Maria Rosaria Liberti) si fa invece interprete di canzoni femministe che sono l’eccezione piuttosto che la regola.  Soprannominata “la nonna del femminismo italiano”, Ria Rosa porta alla ribalta canzoni in cui rivendica il diritto della donna moderna di vestirsi come vuole, la libertà fisica di andare dove vuole e di fare ciò che le pare.  Preferisco il ’900 (Fusco-Valente, 1937) è diventata il manifesto musicale delle rivendicazioni femministe.  Come dice Ria Rosa, “la donna d’oggi, è inutile negarlo, non è più la vile ancella, oggi abolisce in pieno la gonnella”, e decide che le piace fumare, mettere “ ’o rimmelle” e anche far parlare i giornali di lei.  Belle canzoni in dialetto napoletano che propongono l’immagine di una donna forte, dalla voce anche un po’ “sguaiata”, ma che in realtà si inserisce nella lunga tradizione del matriarcato partenopeo. 

   Nel 1936 Rampoldi e Malinverno composero Africanina, marcetta dal motivetto accattivante e dalle immagini vagamente sensuali. 

   La ragazza diventa una “pupetta mora” dalle labbra carnose che ancora una volta sarà salvata e liberata dagli intrepidi soldati italiani e imparerà a baciare “alla garibaldina” (chissà come baciava Garibaldi?).  Per completare il bel quadretto familiare la bella africanina avrà tanti figli (tutti maschi, si capisce!) che si chiameranno tutti Balilla!  Canzone del regime fascista, ma soprattutto canzone che rappresenta le aspirazioni di tanti giovani soldati che erano davvero convinti di portare in Africa civiltà e libertà e che, non dimentichiamolo, apprezzavano molto il fascino delle belle africanine, soprattutto quando non indossavano la camicia (nera o no). La retorica fascista si fa sentire anche qui, però offuscata dal ritratto di questa bella ragazza sana e naturale, dalle labbra carnose e gli occhi dolci.

   Questa galleria di ritratti femminili non può essere completa senza l’immagine della sposina. C’è una casetta piccina, (Valberga-Prato, 1940, cantata da Alberto Rabagliati) diventò l’inno al matrimonio italiano.  Più conosciuta col titolo Sposi , questa canzone ebbe un successo enorme grazie alla calda voce vellutata di Rabagliati che divenne l’idolo canoro degli anni quaranta.  Gli autori concentrano in pochi versi ingredienti da favola:  la casetta piccina, i fiori, la sposina come una fata, il sogno d’amore avverato.  Ma un nuovo elemento interviene nel rapporto coniugale, un’altra figura “femminile”: la radio.  La grande aspirazione degli innamorati è di trascorrere serate piacevoli ad ascoltare la radio: “La porta noi chiuderemo, quando la sera verrà.  Presso la radio saremo, che felicità!”  La radio assicura dunque la stabilità e la felicità della coppia italiana.  La radio informa, unisce, diverte e rassicura, diventando in un certo senso una nuova “mamma”.  La favola prende un tono inaspettatamente moderno, mentre gli ascoltatori si lasciano trascinare dalla bella melodia e dalla voce inconfondibile di Rabagliati.  È bene ricordare che la radio italiana, nata nel 1924 come U.R.I.(Unione Radiofonica Italiana) sotto il controllo del governo fascista, diventerà l’E.I.A.R. (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) nel 1927 e avrà un’importanza capitale nello sviluppo e successo della musica leggera nostrana.

   L’interessante carrellata canora si è conclusa con l’immagine femminile italiana più famosa nel mondo, quella della mamma, e la canzone che l’ha resa celebre, Mamma  (Cherubini-Concina-Bixio, 1940) interpretata da Beniamino Gigli.  Il critico Paolo Isotta spiega l’incredibile successo di questa canzone sottolineando il fatto che Beniamino Gigli, con la sua bella “voce cristallina, rappresentò l’immagine di un’Italia frugale e contadina, avviluppata nella rete del sentimento, che vorremmo fosse eterna.  A tutti i colpevoli di reticenza, suona addirittura in senso catartico: ècome se, ascoltandola, o rievocandone il motivo, celebrassimo il perdono per ciò che non pronunciammo mai.”  Canzone romantica che ci riconcilia al nostro passato patriarcale dominato dalla figura onnipresente della mamma dolce e sofferente.

   Mamma, sposina, africanina, popolanella, contestataria, esotica, nostrana, la donna è sempre presente nella canzone italiana.  Ed è suprattutto grazie a questi motivi che tutta un’epoca passata può ancora mostrare i suoi valori e la sua vitalità.  Studiare la musica leggera è un modo piacevole e vivace di ripercorrere la storia e di ritrovare avvenimenti, sentimenti e sensazioni ormai offuscati dal tempo. 

   Molte grazie ad Anna per la bellissima serata.  Le canzoni italiane fanno parte dei molti interessi della nostra presentatrice, che ci ha promesso di continuarne la storia in future riunioni.  Saremo ben felici di ripetere questa piacevole esperienza!  Anna Di Palma Amelung, ben nota sia all’Italian Club of St. Louis che a Italiano per piacere  per le sue interessanti conferenze, è la Presidente del Classical Club e insegna latino e francese alla University City High School.


Baldo Gandolfo e Armando Pasetti con Mamma
MAMMA
 Mamma, son tanto felice 
perchè ritorno da te. 
La mia canzone ti dice, 
è il più bel giorno (sogno) per me. 
Mamma, son tanto felice, 
viver lontano perchè, 
mamma, solo per te la mia canzone vola. 
Mamma, sarai con me tu non sarai più sola. 
Quanto ti voglio bene, 
queste parole d'amore, 
che ti sospira il mio cuore, 
forse non s'usano più. 
Mamma, la mia (ma la) canzone più bella sei tu, 
sei tu la vita 
e per la vita non ti lascio mai più. 
  Sento la mano tua stanca 
cerca i miei riccioli d'or. 
Sento (sempre) la voce ti manca, 
la ninna nanna dal cor. 
Oggi la testa tua bianca 
io voglio stringer al cuor. 
Mamma, solo per te la mia canzone vola. 
Mamma,sarai con me tu non sarai più sola. 
Quanto ti voglio bene, 
queste parole d'amore, 
che ti sospira il mio cuore, 
Forse non s'usano più. 
Mamma, la mia canzone più bella sei tu, 
sei tu la vita 
E per la vita non ti lascio mai più. 
  Quanto ti voglio bene, 
queste parole d'amore 
che ti sospira il mio cuore 
forse non s'usano più. 
Mamma, la mia canzone più bella sei tu, 
sei tu la vita 
e per la vita non ti lascio mai più. 

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