È
DE PINEDO IL LINDBERGH ITALIANO?
Franco
Giannotti
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Per chi non aveva mai
sentito parlare di Francesco De Pinedo e delle sue straordinarie imprese
aviatorie, la serata del 5 giugno è certamente stata una rivelazione
e sospetto che molti dei presenti alla riunione di Italiano per piacere
appartengano a questa categoria di persone. E’ toccato al nostro
Franco Giannotti, un appassionato di aviazione, il compito di elucidare
l’argomento e far sì che alla conclusione della serata l’importanza
di questo personaggio e dell’aviazione italiana durante i primi decenni
del secolo scorso fosse nota a tutti.
Perché l’indifferenza
da parte degli storici, gli educatori ed i mass media di questo paese nei
riguardi dell’aviazione italiana? Infatti sono ben pochi coloro che
sanno quanto l’Italia abbia contribuito all’aviazione mondiale con primati
di altitudine, distanza e velocità conseguiti a suo tempo dai nostri
aviatori ed eccellendo anche nel campo militare, perché l’Italia
fu la prima nazione ad impiegare mezzi aerei a scopo bellico. È
naturale che oggi, con l’assoluta supremazia degli Stati Uniti nel campo
aerospaziale, sia difficile pensare che l’Italia, che a quei tempi era
una nazione principalmente agricola, abbia potuto competere con gli Stati
Uniti, ma nel 1925 l’aviazione bellica italiana era la seconda nel mondo
con 1.311 aerei; la prima era la Francia con 1.938, mentre l’USA seguiva
con 998 e l’Inghilterra con 755 aerei. È dunque inconcepibile
che nomi come Aldo Finzi, Italo Balbo, Umberto Nobile, Gabriele d’Annunzio
e l’eroe di questa serata non siano conosciuti da tutti. Speriamo
che questo omaggio a Francesco de Pinedo ispiri coloro che sono stati presenti
alla riunione ed i lettori di questo articolo ad approfondire e promulgare
le sue imprese e i successi dell’aviazione italiana. |
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“È De Pinedo
il Lindbergh italiano?” Per arrivare alla risposta Franco ci ha guidati
nel tempo, riassumendo le imprese di questo eroe dell’aria. Per cominciare
Franco ha demolito l’opinione dominante che Charles Lindbergh è
stato il primo aviatore ad attraversare l’Atlantico, cosa ben lontana dal
vero. Infatti, Lindbergh fu il 92o mentre De Pinedo ed i suoi due
colleghi furono l’87o, 88 o e 89 o, rispettivamente. Ci furono anche
due piloti portoghesi, ormai dimenticati, tra De Pinedo e Lindbergh.
Ma ecco dei dati importanti sui due voli:
Il volo di Lindbergh durò
33 ore e coprì 3.600 miglia; quello di De Pinedo durò quattro
mesi e coprì 27,220 miglia.
Lindbergh volò non-stop
da New York a Parigi; De Pinedo fece 44 soste in 4 continenti.
Lindbergh volò da solo;
De Pinedo aveva un equipaggio di due persone.
Data la diversità
delle due imprese, il paragonarle è piuttosto difficile ma prima
di esaminarne i dettagli sarà meglio parlare di De Pinedo stesso,
della sua vita e della sua carriera militare. |
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La vita
Francesco De Pinedo nasce
a Napoli il 16 febbraio 1890 da una famiglia benestante. Il padre
è un avvocato. Studia letteratura, le belle arti e soprattutto
musica, una passione che coltiva tutta la vita al punto di portare con
sé, nel raid delle due Americhe, un grammofono e dischi a bordo
di un aereo che, per ragioni di spazio e peso, non era nemmeno provvisto
di radio.
Al contrario degli aviatori
d’allora, avventurieri e scapestrati, De Pinedo mantiene un’immagine decorosa.
È magro, di bassa statura, vestito impeccabilmente sia in divisa
che in borghese, ed è fedelissimo al rigido codice di comportamento
di ufficiale della Regia Marina.
Non portato ad effusioni
eccessive, cosa insolita per un napoletano, mantiene le distanze anche
con i suoi collaboratori più stretti usando il “lei” sia con il
motorista Vittorio Zachetti che con il collega ufficiale Carlo del Prete.
Forse un po’ timido e scontroso, cerca di limitare le funzioni pubbliche,
soprattutto se sono in suo onore, ed evita di inviare comunicati ai suoi
superiori, tanto da infuriare Mussolini, che deve apprendere dai giornali
il progresso del suo aviatore. |
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A proposito del Duce,
sembra che De Pinedo fosse totalmente apolitico, cosa questa che non aiuterà
la sua carriera e gli sarà svantaggiosa nei rapporti con il suo
diretto superiore, Italo Balbo.
A soli 18 anni, De Pinedo
si arruola nella Regia Marina con l’ardente desiderio di visitare e scoprire
terre lontane. Dopo sei anni di servizio esemplare, De Pinedo decide
che l’aereo è il mezzo più pratico e più adatto per
saziare il suo grande desiderio d’avventura ed esplorazione. In meno
di due mesi ottiene il brevetto di pilota e come tale si distingue durante
la prima guerra mondiale, guadagnandosi promozioni e decorazioni.
Passa alla nuova arma della Regia Aeronautica con il grado di tenente colonnello
e con funzioni esecutive al Commando Supremo della Regia Aeronautica a
Roma.
A 33 anni De Pinedo è
un uomo arrivato con davanti a sé una carriera invidiabile che presto
incomincia a odiare. La vita sedentaria al Ministero è ben
diversa da quella che De Pinedo sognava. Per realizzare i suoi sogni
convince i suoi superiori che l’Italia deve dimostrare che i suoi piloti
e velivoli sono i migliori del mondo e che per farlo bisogna cimentarsi
in imprese ritenute impossibili fino allora.
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È
da ricordare che nel dopoguerra l’Italia possedeva un eccessivo armamento
aereo e un’enorme capacità di produrre velivoli che la pace aveva
reso inutili. Piuttosto di chiudere fabbriche e licenziare migliaia
di lavoratori, il governo decide di incoraggiare spericolati raid aerei
per portare piloti e velivoli nelle maggiori città d’Europa e di
tutto il mondo, confermando così la superiorità dei suoi
aerei e invogliando, con ottimi risultati, paesi stranieri a comperarli.
I piloti innalzarono così la professione di “venditore ambulante”
al più alto livello.
Uno di questi raid fu
quello che nel 1920 portò a Tokyo i piloti Arturo Ferrarin e Guido
Masiero,
che completarono un viaggio straordinario di 11.000 miglia. |
Arturo Ferrarin e Guido
Masiero con mascotte
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"Gennariello", 20 Aprile 1925
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Il raid del Gennariello
De Pinedo vuole far di
meglio, ritornando a Tokyo non direttamente ma addirittura dopo aver raggiunto
l’Australia, per poi ritornare a Roma. Si tratta di 34.000 miglia
in un S16 della Savoia-Marchetti, un idrovolante a quattro posti, due dei
quali sono sostituiti da serbatoi ausiliari e parti di ricambio.
L’idrovolante è battezzato Gennariello in onore di San Gennaro,
il santo patrono della sua Napoli. Per scaramanzia e buon augurio,
De Pinedo aggiunge al nome la scritta ibis redibis, vale a dire “vado e
torno”. Per compagno di volo sceglie l’abile motorista |
Ernesto Campanelli
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Ernesto Campanelli
ed i due partono da Sesto Calende il 20 aprile 1925.
L’impiego di un idrovolante
era ideale perché gli aerei dell’epoca non avevano l’autonomia necessaria
per compiere lunghi tragitti e gli aeroporti esistevano soltanto nelle
grandi città.
De Pinedo, che in cuor
suo era rimasto un marinaio, aveva sempre preferito idroplani e immancabilmente
decantava i loro pregi sostenendo che i voli commerciali del futuro sarebbero
stati fatti con grandi idrovolanti che non hanno bisogno di costosi aeroporti
per raggiungere qualsiasi parte del mondo.
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Tuttavia
il raid del Gennariello fu tutt’altro che facile. I motori di allora
erano poco affidabili e richiedevano frequenti riparazioni e revisioni
complete dopo poche ore di volo. Piloti e motoristi dovevano essere
in grado di smontare, riparare e rimontare qualsiasi parte del motore o
dell’aereo, spesso ripiegando a mezzi di fortuna per parti di ricambio:
una perdita d’olio fu riparata saldando una padella di rame ottenuta in
una cucina di Bagdad; carburante e olio dovevano spesso essere pompati
a mano mentre in volo; condizioni atmosferiche e difficoltà tecniche
costrinsero dirottamenti ed ammaraggi in posti non provvisti di rifornimenti;
l’olio del motore in un ormeggio forzato in India fu rimpiazzato usando
40 bottiglie d’olio di ricino; un pezzo di metallo che stava separandosi
dal motore con il rischio di distruggere l’elica e causare fine sicura
per la missione e per i due aviatori fu tenuto al suo posto con le mani
del motorista Campanelli, disteso al di fuori della carlinga mentre De
Pinedo cercava disperatamente un posto adatto per ammarare.
Ritardi e dirottamenti
coincisero con l’inizio della stagione dei monsoni in Indocina, perciò
la cabina aperta dell’aereo offrì poco riparo alle bufere che spesso
incontrarono. L’impresa fu considerata pazzesca da tutti gli esperti
e pochi si aspettavano che De Pinedo la portasse a termine o ne ritornasse
vivo, ma nonostante ciò De Pinedo e Campanelli arrivarono in Australia
il 31 maggio 1920, impiegando un mese e 10 giorni per compiere metà
del tragitto. Il ritorno portò il Gennariello a Tokyo e finalmente
a Roma, dove fu accolto da folle deliranti e gli encomi delle autorità.
Mussolini affermò che DePinedo con la sua impresa aveva ristabilito
i giorni gloriosi dell’antico impero romano.
Il successo accelerò
la carriera e le ambizioni di De Pinedo. Re Vittorio Emanuele gli conferì
il titolo di Marchese. La Federation Aeronautique Internazionale, già
allora l’entità mondiale per gli sport aerei, conferì la
sua prima Medaglia d’Oro al Colonnello Francesco De Pinedo. |
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Il raid delle
due Americhe
È lo stesso Mussolini
a incoraggiare il secondo grande raid di De Pinedo, suggerendo che bisognava
promuovere un senso d’italianità e d’orgoglio negli italiani emigrati
nel nuovo mondo, specialmente in nord America.
De Pinedo non perde tempo
e immediatamente delinea la rotta per la sua nuova avventura, una rotta
che lo porta dall’Italia in Africa, prima nel Marocco e poi a Boloma nella
Ghinea portoghese da dove inizia la traversata atlantica verso il Brasile.
Continua a sud fino a
Buenos Aires, ritorna al nord attraverso le giungle brasiliane, attraversa
gli Stati Uniti e arriva in Canada e riattraversa l’Atlantico per il ritorno
in Italia. Complessivamente più di 27.000 miglia e quattro
continenti.
La Santa Maria  |
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De Pinedo si rivolge nuovamente alla Savoia-Marchetti, la quale gli fornisce
il nuovo idrovolante S55, un catamarano con doppia carlinga fornito di
due motori accoppiati linearmente ad uso push-pull . Questo
magnifico aereo, battezzato la Santa Maria in riferimento alla nave ammiraglia
di Cristoforo Colombo, da sé meriterebbe un altro programma (che
forse si farà nel futuro).
Anche questa volta prezioso
spazio è dedicato a serbatoi supplementari e ad un arsenale di parti
di ricambio, però c’è posto per un terzo membro dell’equipaggio:
De Pinedo ingaggia un vecchio amico della Regia Marina, l’esperto navigatore
capitano Carlo del Prete, nella foto di sinistra, mentre il ruolo di meccanico
motorista è affidato al Sergente Vitale Zacchetti.
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In questa foto a partire
da sinistra: Vitale Zacchetti, Francesco De Pinedo e Carlo del Prete.
Il raid delle due Americhe
è ricco d’avventure e dettagli affascinanti di cui elenchiamo soltanto
i punti salienti. Per i particolari vi consiglio di guardare il nostro
sito “Eroi dell’aria” sul Portale italiano
per il midwest. Lì potrete leggere dettagliatamente, in
lingua inglese, la storia del grande aviatore, abilmente scritta da Don
Fiore di Chicago.
La Santa Maria
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Dettaglio motori
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Il battesimo
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Ultimo ritocco ai motori
De Pinedo con Italo Balbo il
giorno
della partenza, 13 febbraio 1927
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La Santa
Maria decolla da Sesto Calende, sede della Savoia-Marchetti, diretta verso
Cagliari, la base di partenza.
Il volo ufficiale inizia
dunque a Cagliari il 13 febbraio 1927 e raggiunge Boloma in due giorni.
De Pinedo vorrebbe cominciare la traversata il 16 febbraio, giorno del
suo 37o compleanno, ma dopo sette vani tentativi deve abortire il decollo.
Il peso eccessivo del carburante di riserva, il caldo torrido che surriscalda
i motori, ed il mare, stranamente troppo calmo, non permettono la Santa
Maria di “staccarsi” dall’acqua. Infatti, a differenza degli aerei
da terra, dove le ruote fanno poco attrito con la pista di decollo, un
idroplano crea un risucchio sotto i galleggianti difficile da rompere in
acque calme.
De Pinedo decide di spostarsi più a nord, alle isole di Capo Verde,
da dove riesce a decollare il 22 febbraio durante la notte, quando la temperatura
è più fresca. La traversata inizia felicemente e l’equipaggio
si permette il lusso di un brindisi con una bottiglia di vino rosso.
Purtroppo la quiete è di corta durata perché l’aereo incontra
una violenta bufera che durerà per l’intera traversata e che De
Pinedo cerca di evitare volando a bassissima quota. Ma questo risulta
in eccessivo surriscaldamento dei motori, ai quali deve essere pompata
tutta l’acqua dei serbatoi di bordo, inclusa quella minerale imbottigliata
e persino quella piovana raccolta a secchi dalla cabina che continua ad
allagarsi.
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Rio De Janeiro
Presidente Marcelo T. deAlvear
Cuba
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Finalmente
avvistano la costa brasiliana ma è impossibile ammarrare causa il
tempo inclemente. De Pinedo ripiega nella vicina isola Fernado de
Noromha, terminando la traversata atlantica in 15 ore.
Il giorno seguente raggiunge
la città brasiliana di Nadal da dove inizia il tour americano.
Da lì procede direttamente per Buenos Aires, dove gli aviatori sono
ricevuti con grandi onori e feste, più o meno ripetuti in tutte
le città dove fanno sosta.
Il presidente della Repubblica
Argentina, Marcelo T. de Alvear, anche lui un appassionato di aviazione,
insiste di salire a bordo della Santa Maria e Francesco De Pinedo non nasconde
il suo compiacimento per l'illustre visitatore. Nella foto a sinistra
vediamo appunto i due personaggi al posto di pilotaggio del velivolo che
è situato direttamente sotto i motori nella sezione centrale dell'ala
che collega le due carlinghe.
È tempo
di risalire a nord ed il pericolo maggiore si presenta quando sorvolano
le giungle del sud America, dove nessun pilota si era mai avventurato.
Leggete i dettagli affascinati di questa impresa sul sito internet citato
sopra. È bene tenere presente che l’intenzione di De Pinedo
non era mai quella di volare da un luogo all’altro nel più facile
e conveniente dei modi. Al contrario, De Pinedo voleva dimostrare
che uomini e motori sono capaci di superare qualsiasi ostacolo, quindi
il più delle volte sceglieva le rotte più ardue.
Fuori delle giungle sudamericane
la Santa Maria giunge a Cuba |
Arrivo a Buenos Aires
Buenos Aires. Una delle
tante
parate in onore degli aviatori
italiani |
New Orleans, 29 marzo 1927
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il 28 marzo e New Orleans il 29 marzo.
Data, questa, da ricordare nella storia poiché è
la prima
volta che un pilota straniero tocca il suolo americano. Siamo
ora a circa 45 giorni dalla sua partenza dall’Italia e poco meno di due
mesi prima della trasvolata di Charles Lindbergh.
Gli aviatori si fermano
a New Orleans per un paio di giorni, per gustare l’ospitalità americana
con le ormai solite feste e banchetti e per sbrigare i telegrammi e la
corrispondenza che si sono accumulati. Ma è ora di partire
e le prossime fermate sono in Texas, prima a Galveston e poi a San Antonio. |
In volo sul Texas
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La tappa successiva
è nell’Arizona: il 6 aprile scendono nel Roosevelt Reservoir
vicino a Phoenix ed appena arrivati si accingono a fare rifornimento.
Mentre Carlo Del Prete e Zacchetti accudiscono all’aereo ed al rifornimento
di benzina, De Pinedo è già circondato dalle autorità
che lo accompagnano verso l’Apache Lodge, dove è pronto il banchetto
di prammatica. Stanno per varcare la soglia della Lodge quando sentono
delle grida provenienti dal lago e vedono con orrore una colonna di fumo
salire al cielo. Una corsa alla sponda del lago conferma il peggio. |
Rifornimento al Roosevelt
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La Santa Maria in fiamme
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La Santa Maria è
in fiamme. Del Prete e Zacchetti a malapena si salvano e tentativi
di spegnere l’incendio e salvare l’aereo sono infruttuosi. De Pinedo
grida alla folla; “Qualcuno scatti una foto! Voglio almeno un ricordo
della mia creatura!”
Dubbi di sabotaggio svaniscono
quando un giovane, John Thomason, che assisteva al rifornimento, confessa
che dopo aver finito di fumare la sigaretta aveva gettato la cicca nell’acqua
sulla quale galleggiava un velo di benzina.
È ironico che
dopo 18.000 miglia di arduo tragitto con intemperie e vicissitudini incredibili
questa grande impresa sia terminata per una semplice svista da parte di
un giovane incurante. Il governo americano si scusa con il governo
italiano per l’increscioso incidente e offre un aereo affinché De
Pinedo possa continuare il suo viaggio. |
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De Pinedo a San Diego...
...e Hollywood
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Mussolini ringrazia
ma rifiuta l’offerta e dà istruzioni alla Savoia-Marchetti di preparare
un aereo identico alla Santa Maria e di spedirlo via nave a New York.
Nel frattempo, De Pinedo
ed il suo equipaggio proseguono per San Diego a bordo di un aereo della
marina militare americana e poi continuano in treno verso New York per
attendere l’arrivo del nuovo aereo.
Mentre in California
una visita a Holliwood è di prammatica e vediamo De Pinedo ritratto
con una famosa attrice dell'epoca.
Durante il tragitto si
fermano nelle maggiori città, incluso Washington, DC, dove il Presidente
Coolidge dà il benvenuto agli aviatori italiani con un sontuoso
banchetto di mille persone.
Nella foto a destra De
Pinedo con l'Ambasciatore italiano De Martino e l'Attachè della
Regia Aeronautica a Washington |
Washington, DC
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La Santa Maria II
Nel frattempo il nuovo
aereo è pronto e viene imbarcato sulla nave da cargo Duilio poco
prima di lasciare Genova.
I tre aviatori arrivano
a New York il 25 aprile con grandi festività da parte della comunità
italo-americana e del sindaco Jimmy Walker, che è felice di notare
che De Pinedo è basso di statura come lui. |
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Il primo maggio la Duilio
arriva a Staten Island ed una squadra di meccanici specializzati rimonta
l’aereo sotto gli occhi vigili di De Pinedo e la protezione armata di una
squadra della milizia fascista, venuta con la nave per lo scopo.
Probabilmente non erano convinti che l’incendio al Roosevelt Reservoir
fosse stato un incidente.
La Santa Maria II è
identica alla prima, con l’eccezione di messaggi augurali e autografi dei
lavoratori italiani che l’hanno costruita. Nel centro dell’ala si
nota la scritta post fata resurgo, il motto della mitologica fenice, che,
consumata dalle fiamme, risorge dalle proprie ceneri.
La Santa Maria II è
pronta e De Pinedo decide di abbandonare tutte le tappe ad ovest del Mississippi
per cercare di guadagnare il mese perduto. Ma c’è un’altra ragione
per la quale De Pinedo vuole affrettarsi: i giornali parlano di preparativi
di piloti americani che vogliono cimentarsi nella traversata dell’oceano,
tra cui un giovane pressoché sconosciuto dal nome di Charles Lindbergh,
e De Pinedo preferisce che nessun pilota compia la traversata prima che
lui porti a termine la sua impresa. |
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Ripartiti
da New York dopo il varo della Santa Maria II e dopo veloci soste a Boston,
Philadelphia e Charleston, gli aviatori ritornano a New Orleans per riprendere
il viaggio dal punto originale d’entrata negli Stati Uniti. Non si
sa se la decisione di ritornare a New Orleans sia dovuta a scaramanzia
da parte del superstizioso De Pinedo o piuttosto dalla sua meticolosa preoccupazione
che il raid fosse più tardi considerato incompleto. Il nuovo itinerario
include Memphis, St. Louis, Chicago, Terranova e ritorno in Italia a metà
maggio.
La sosta a New Orleans
doveva essere di poche ore ma le condizioni atmosferiche non sono favorevoli.
L’aereo finalmente decolla il 14 maggio anche se il tempo continua ad essere
inclemente. Non possono però continuare e sono forzati a scendere
e passare la notte a Memphis. Il giorno dopo il tempo non è
migliorato di molto e De Pinedo decide che a St. Louis farà soltanto
un passaggio a bassa quota, tra il rammarico di centinaia di persone che
attendono il velivolo da ambedue le sponde del Mississippi.
La tappa successiva è
Chicago e De Pinedo non può schivare l’entusiasmo e le festività
preparate per lui. In questa foto di Chicago lo vediamo con Miss America
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La partenza da Chicago
Terranova, 20 maggio 1927
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Il giorno seguente crede
di poter partire, ma le onde sul lago Michigan non permettono il decollo,
quindi un altro giorno è perduto. Finalmente la Santa Maria
II procede per Montreal dove arriva il 17 maggio.
Purtroppo il tempo non
migliora e ci vogliono 3 giorni per giungere a Terranova. È
il 20 maggio e il momento di iniziare la traversata di ritorno è
finalmente arrivato, ma è destino che De Pinedo rimanga preda del
cattivo tempo. Tentativi di decollo si susseguono. Ore preziose
passano, un’altra nottata è persa e, dopo altri tentativi, l’ennesima
ora di partenza è fissata mentre arriva notizia che Charles Lindbergh
è felicemente atterrato a Parigi.
La Santa Maria II finalmente
decolla e incontra venti fortissimi che causano un enorme consumo di carburante.
Le isole Azzorre non sono in vista ed è ovvio che la benzina non
basterà. |
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Il Boston Evening Globe
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annuncia l'arrivo di Lindbergh
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e la partenza di De Pinedo
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da Terranova per le Azzorre
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Azzorre. L'aereo e` issato a
terra per
riparare il danno all'ala sinistra
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Con i serbatoi quasi
vuoti De Pinedo avvista il peschereccio portoghese Infante de Sangres
presso cui deposita l’aereo, in mezzo all’oceano. Mancano ancora
200 miglia alle Azzorre e i portoghesi accettano di rimorchiare l’aereo.
Mentre l’intero mondo
celebra Charles Lindbergh, nulla si sa di De Pinedo. Né l’aereo
né la nave sono muniti di radio. Il mattino seguente una nave
britannica comunica via radio che ha avvistato una nave portoghese con
un aereo bianco a rimorchio. Gli italiani giubilanti ordinano al
vapore italiano
Superga di incontrarsi con l’Infante de Sangres
e assumere il rimorchio dell’aereo. Dopo una settimana adibita alla
riparazioni dei danni sofferti durante il rimorchio, De Pinedo decolla
dalle Azzorre, puntando ad ovest, e ritorna al punto del forzato ammaraggio
prima di riprendere la rotta ad est che lo porta in Italia. Anche
qui, De Pinedo è ligio ai regolamenti: l’itinerario non può
avere tratti incompleti.
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De Pinedo con il sorvolatore
atlantico
portoghese Ramon Franco
Approccio finale a Ostia, Roma...
...e termine dell'impresa, 16
giugno 1927
4 mesi e 3 giorni - 27,220 miglia
44 soste - 4 continenti
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Ormai non
c’è più fretta; il Portogallo e la Spagna sono le tappe successive
ed il 16 giugno De Pinedo ammara nel mare di Ostia vicino a dove oggi si
trova l’aeroporto di Fiumicino.
A dare il ben tornato
all’equipaggio sono i regnanti, Mussolini, Italo Balbo e migliaia di italiani.
De Pinedo è un eroe e l’intera nazione giubila:
canzoni sono scritte in suo onore, manifesti che incoraggiano i giovani
ad arruolarsi nell’Aeronautica declamano: “Non vuoi divenire un
altro De Pinedo?” Il governo britannico gli conferisce la stessa
Air Force Cross che aveva conferito a Lindbergh poche settimane prima,
per ricordare forse che Lucky Lindy non è stato l’unico pilota
a farsi onore nel 1927.
Conclusione
Qual’è dunque
la risposta alla domanda iniziale “È De Pinedo il Lindbergh italiano?”
Forse è quella data dal professor Alegi di Roma, e cioè “È
un gran peccato che la storia abbia spazio soltanto per un eroe.”
Note:
Ringraziamo per la loro assistenza
e contributo letterario il Dr. Gregory Alegi di Roma, docente all'Accademia
Aeronautica Militare di Pozzuoli, emerito esperto di aviazione e presidente
del Gruppo Amici Velivoli Storici - GAVS,
e Mr. Don Fiore di Chicago, appassionato esperto di storia italiana.
Le foto sono state fornite dallo Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare
Italiana, dal Console Generale Enrico Granara, motivatore e organizzatore
per la riuscitissima celebrazione del 75mo anniversario a Chicago, e Mr.
Don Fiore. La foto del Sergente Ernesto Campanelli è stata
fornita da suo nipote Sig. Pierpaolo Manca. Per dettagli e links
su questa ed altre imprese aeronautiche italiane dell'epoca visitate il
sito "Eroi dell'aria" nel Portale italiano per il midwest:www.italystl.com.
Testo e creazione sito di Franco Giannotti, riassunto di Luisa Gabbiani
Flynn. |
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Auguro che ogni chilometro
da |
noi percorso a volo susciti
nel |
cuore dei giovanetti italiani
il |
desiderio di diventare piloti |
Francesco De
Pinedo
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