Dicono che nella nostra società le divisioni ideologiche
sono sparite. Non è vero. Non hanno più la forma di dichiarazioni
dottrinarie, ma continuano come modi di interpretare la storia, modi di
reagire, costumi, sensibilità, reazioni emotive, simpatie e antipatie,
amore ed odio.
Lo vediamo nei congressi di partito dove la gente applaude ogni volta
che l'oratore si lancia a testa bassa contro il nemico. O in occasione
della morte di un grande leader. Qualcuno sostiene che si tratta di manifestazioni
emotive passeggere. Non è vero. Sono amori e odii profondi. Due
militanti di partiti avversi, in pochi minuti di conversazione, capiscono
benissimo di essere incompatibili.
Appena uno nomina un personaggio che ama e ammira, l'altro ha un
moto di ripulsa. Quando il primo elogia libri, autori, gesti o azioni che
ritiene esemplari, l'altro sente salire dentro di sé la collera
e il disgusto.
In Italia la spaccatura politica ha profonde radici nel passato,
negli schieramenti del mondo, nelle tradizioni regionali. Il militante
cresce plasmato dalle concezioni e le emozioni della sua comunità,
che agiscono in lui come riflessi condizionati. Appena può favorisce
i suoi e danneggia i nemici. Negli Stati Uniti, in Francia, in Inghilterra
il premier, una volta eletto, è il presidente di tutti. Da noi no.
Continua ad essere il capo del proprio partito o del partito avverso. Amato
dagli uni e odiato dagli altri.
Come possono, allora gli italiani, vivere insieme, pacificamente,
giorno per giorno? L'alta cultura cerca di negare questa divisione, sostenendo
che la nostra vita politica è come quella anglosassone, razionale,
serena. La gente comune evita di parlarne. Non facciamo nulla per conoscere
le idee politiche dei nostri vicini, del parrucchiere, del fruttivendolo,
del meccanico, del medico, dell'avvocato, del farmacista o dell'assicuratore,
dell'impiegato di banca. Non discutiamo con loro. Siamo prudenti perfino
con gli amici.
Anche i mezzi di comunicazione di massa, a poco a poco, hanno eliminato
i dibattiti politici accesi e avvelenati. Qualcosa resta, ma solo su certe
reti, in certe ore. Di giorno la televisione offre materiale pacioso, inerte:
rubriche di cucina, talk show sulla vita familiare, telenovele,
soap
opera, vecchi film. In prima serata spettacoli musicali, giochi a premio,
storie commoventi, intermezzi comici, film e telefilm. C'è poi la
onnipresente pubblicità, che deve piacere a tutti. Gli spot non
sono mai né di destra né di sinistra.
Vi sarete inoltre accorti che i veri protagonisti della televisione
sono ormai solo i divi televisivi: i conduttori degli spettacoli di intrattenimento,
gli attori, le attrici, i comici. Sono sempre insieme, costituiscono un
gruppo chiuso, una élite. Si invitano l'un l'altro nelle loro trasmissioni,
si elogiano, parlano della loro vita, dei loro programmi. Ostentano amicizia
e si tengono lontani dalla politica. I telegiornali informano sul governo,
sull'opposizione, sulle polemiche politiche, però danno sempre più
spazio alla salute, alla cronaca nera e rosa, agli spettacoli, all'economia
e alla Borsa.
È come una grande coperta rosa che crea una illusione di consenso
sopra un abisso di rancore e di guerra. Non sarebbe meglio dire la verità,
capirsi e fare veramente la pace?
Commento di FRANCESCO ALBERONI (sociologo) |