Ennio Caretto -- martedi , 08
febbraio 2000
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
WASHINGTON — A Paul Cayard
non è proprio andata giù. E nemmeno ai media e ai tifosi
americani. Cayard ha ingoiato amaro: «Abbiamo perso perché
abbiamo dedicato alla Coppa metà tempo e metà soldi degli
italiani». Ma i media e i tifosi lo hanno processato: «La sua
barca era più lenta, ha rischiato troppo e si è fatto penalizzare»,
ha scritto il Washington Post. Un lutto nazionale, insomma: per la prima
volta nella storia della Coppa, in 150 anni, l’America non è in
finale, e non se ne dà ragione. È vero che nelle cinque ultime
edizioni aveva subito due sconfitte, ma sempre e solo alla finalissima.
«Probabilmente — ha ammesso Cayard — ho esagerato: skipper, finanziatore,
organizzatore, non si devono portare tanti cappelli. Nel ’92 e ’95 corsi
meglio». Ma ha aggiunto: «Con 32 milioni di dollari contro
i 55 di Prada non si poteva fare di più» (64 miliardi di lire
contro 110). E si è giustificato così: «Noi americani
eravamo divisi in troppi gruppi. Ci siamo battuti per unificare le nostre
risorse, ma è stato tutto inutile. E gareggiare in cinque è
dispersivo. È una lezione: non si va alla Coppa in ordine sparso,
ma in uno o due al massimo».
Pronostici sulla finale di
Coppa America? Cayard ha rifiutato di schierarsi per l’Italia, ma non ha
nascosto che «Luna Rossa è difficile da superare». Ha
aggiunto: «Se vincesse l’Italia, sarebbe clamoroso. Dopo la nostra
riconquista della Coppa sarebbe forse la soluzione migliore: la vela ne
trarrebbe un forte impulso». E il futuro? Cayard ha preso in prestito
il motto di James Bond, «Mai dire mai», per segnalare che non
si ritira e che intende fare a ogni costo sua la prossima edizione della
Coppa. «È la mia vita, è il mio lavoro, è quello
in cui eccello», ha detto. «Avrei dovuto allenarmi anch’io
per due anni e mezzo come gli italiani. Noi siamo molto bravi e lo dimostreremo».
E guardando la moglie Icka e le loro due bambine che lo vorrebbero a casa:
«Sorry, honey» spiacente, miele mio.
Ma sullo skipper sconfitto
piovono critiche. Ieri il Washington Post ha dato del guascone a Cayard.
«Quando dall’1 a 3 è passato al 4 a 3, è divenuto un
po’ spaccone», ha scritto il quotidiano. «Ha affermato che
il fattore umano e l’esperienza del suo equipaggio non avrebbero consentito
al neofita de Angelis e ai suoi relativamente ignoti velisti di recuperare.
Ma si è sbagliato». AmericaOne avrebbe vinto se la finale
fosse consistita di sette regate come nell’83, e non di nove, ha concluso
il Washington Post. Sulla distanza, la superiore velocità della
Prada si è invece imposta. Per lenire la grande delusione dei tifosi
della vela Usa, quasi nessun giornale ha messo la sconfitta in prima pagina,
riservando questo onore alla vittoria dell’America sullo Zimbabwe nella
Coppa Davis di tennis.
La vela negli Usa è
enormemente popolare e dall’83, quando Dennis Conner la trasformò
in una sorta di campionato mondiale, la gara è considerata il massimo
banco di prova della tecnologia e del materiale umano americani. «È
una fase di transizione», ha asserito come consolazione il New York
Times. E Usa Today si è soffermato sul dramma personale di Cayard,
ricordando però che sbagliò giudizio su Luna Rossa: «Non
contano solo i soldi, contano anche l’impegno e la passione». |