Return
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 

 

LA PATRIA PERDUTA...
LANTERNA ROSSA di Guido Ceronetti 
 
- 11 maggio 2000

 C'è da riflettere sul pensiero di Heidegger: «L'assenza di patria sta diventando un destino mondiale» (Lettera sull’Umanismo, 1946). Globalizzazione, Unione Europea, Internet, mezzo secolo dopo, confermano. Se patria era cosa molto vaga, assenza di patria è un
fatto molto concreto ed è una delle grandi ondate di malessere che ricoprono e avviluppano, inzuppate di mostri, la popolazione del pianeta. L’uomo è per metà pianta (così com’è centauro, licantropo, chimera): se gli tagliano le radici la metà-albero muore, resta il lupo mannaro. Corrono, da noi, espressioni orripilanti come «azienda Italia», «sistema paese»: borborigmi di cretino il cui senso segreto è l'assenza di patria, privazione di realtà... E nessuno può vantare «senso dello Stato» perché l’assenza di patria impedisce il coagulo statale e lo Stato diventa una Nave dei Folli, di cui l’Italia fornisce un esempio dei più interessanti. Tiene, terrà la tribù. Dire tribale evoca subito orgie di sangue e catene di vendette, ma la tribalità conserva in vita qualcosa dell’albero-uomo, anche se nella sua frenesia distruttiva la tribù sega e incendia le foreste che gli appartengono e allarga il deserto. Nel deserto l’unico albero, di scarsa ombra, è l’uomo - l’uomo tribale, i cui codici alla civiltà degli sradicati ripugnano e fanno paura. Diceva bene Luigi Salvatorelli, che il Risorgimento italiano (di cui nessuno sa più nulla) era un «moto spirituale»: infatti ai moti spirituali è assegnato un tempo piuttosto breve (mille anni, cento, quindici e mezzo), poi sono macerie, talvolta di punte avvelenate. Così è svanito il sogno dell’unità italiana, dalla canzone petrarchesca ai testamenti della Grande Guerra. Non saranno i Bossi a spiantarla, ma l’irresistibile avanzata dell’assenza di patria come destino mondiale, col concorso di una classe politica che ha perso, insieme alla metà dell’albero, anche la testa d’uomo. Hanno l’aria di galline disperse, sotto una minaccia invisibile. Che cosa direbbero don Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini, Emilio Lussu, Vilfredo Pareto, Giuseppe Prezzolini di queste disperate pollastre senza gallo, senza pollaio? Sono galline che vedono nella compagna che gli è simile un cane che ringhia, ma a fargli tanta paura è un’altra pollastra smarrita. Caratteristica dell’assenza di patria è la perdita della pietas di patria, che distrugge atomo per atomo la dignità superstite. La pietà di patria fermerebbe i torrentizi sbarchi di clandestini e sgominerebbe i poteri mafiosi: è inutile che simuli di ruggire uno Stato governato da gallinelle. Nell’ondata del malessere prodotto dall’assenza di patria (che non può essere reinventata: già il fascismo ci aveva provato, esito letale) è forte lo strazio della perdita progressiva, ugualmente fatale, della rappresentanza, in tutti quelli (non credo siano tanti) che ancora si sentano uomo-pianta, uomo non tribale: vadano o no a votare queste sono anime di esiliati, alle quali viene proposta come Maria Ausiliatrix, sollazzo dei sollazzi, la Borsa. Una minoranza esigua, certamente. In tutti gli altri il disagio per una simile rappresentanza non arriva all’orrore, e tutto tende a una globale, antitragica rassegnazione. La mia -impressione è che lo Stato unitario, che spiritualmente in Italia è abortito, come nella Grecia delle città, in senso fisico e materiale abbia i giorni contati. Dove l’uomo cessa di essere albero, la tribù centripeta si delinea, coi suoi culti feroci, la sua utopia di deserto.