C'è da riflettere sul pensiero di Heidegger: «L'assenza
di patria sta diventando un destino mondiale» (Lettera sull’Umanismo,
1946). Globalizzazione, Unione Europea, Internet, mezzo secolo dopo, confermano.
Se patria era cosa molto vaga, assenza di patria è un
fatto molto concreto ed è una delle grandi ondate di malessere
che ricoprono e avviluppano, inzuppate di mostri, la popolazione del pianeta.
L’uomo è per metà pianta (così com’è centauro,
licantropo, chimera): se gli tagliano le radici la metà-albero muore,
resta il lupo mannaro. Corrono, da noi, espressioni orripilanti come «azienda
Italia», «sistema paese»: borborigmi di cretino il cui
senso segreto è l'assenza di patria, privazione di realtà...
E nessuno può vantare «senso dello Stato» perché
l’assenza di patria impedisce il coagulo statale e lo Stato diventa una
Nave dei Folli, di cui l’Italia fornisce un esempio dei più interessanti.
Tiene, terrà la tribù. Dire tribale evoca subito orgie di
sangue e catene di vendette, ma la tribalità conserva in vita qualcosa
dell’albero-uomo, anche se nella sua frenesia distruttiva la tribù
sega e incendia le foreste che gli appartengono e allarga il deserto. Nel
deserto l’unico albero, di scarsa ombra, è l’uomo - l’uomo tribale,
i cui codici alla civiltà degli sradicati ripugnano e fanno paura.
Diceva bene Luigi Salvatorelli, che il Risorgimento italiano (di cui nessuno
sa più nulla) era un «moto spirituale»: infatti ai moti
spirituali è assegnato un tempo piuttosto breve (mille anni, cento,
quindici e mezzo), poi sono macerie, talvolta di punte avvelenate. Così
è svanito il sogno dell’unità italiana, dalla canzone petrarchesca
ai testamenti della Grande Guerra. Non saranno i Bossi a spiantarla, ma
l’irresistibile avanzata dell’assenza di patria come destino mondiale,
col concorso di una classe politica che ha perso, insieme alla metà
dell’albero, anche la testa d’uomo. Hanno l’aria di galline disperse, sotto
una minaccia invisibile. Che cosa direbbero don Giustino Fortunato, Gaetano
Salvemini, Emilio Lussu, Vilfredo Pareto, Giuseppe Prezzolini di queste
disperate pollastre senza gallo, senza pollaio? Sono galline che vedono
nella compagna che gli è simile un cane che ringhia, ma a fargli
tanta paura è un’altra pollastra smarrita. Caratteristica dell’assenza
di patria è la perdita della pietas di patria, che distrugge atomo
per atomo la dignità superstite. La pietà di patria fermerebbe
i torrentizi sbarchi di clandestini e sgominerebbe i poteri mafiosi: è
inutile che simuli di ruggire uno Stato governato da gallinelle. Nell’ondata
del malessere prodotto dall’assenza di patria (che non può essere
reinventata: già il fascismo ci aveva provato, esito letale) è
forte lo strazio della perdita progressiva, ugualmente fatale, della rappresentanza,
in tutti quelli (non credo siano tanti) che ancora si sentano uomo-pianta,
uomo non tribale: vadano o no a votare queste sono anime di esiliati, alle
quali viene proposta come Maria Ausiliatrix, sollazzo dei sollazzi, la
Borsa. Una minoranza esigua, certamente. In tutti gli altri il disagio
per una simile rappresentanza non arriva all’orrore, e tutto tende a una
globale, antitragica rassegnazione. La mia -impressione è che lo
Stato unitario, che spiritualmente in Italia è abortito, come nella
Grecia delle città, in senso fisico e materiale abbia i giorni contati.
Dove l’uomo cessa di essere albero, la tribù centripeta si delinea,
coi suoi culti feroci, la sua utopia di deserto. |