Il ministro
della Pubblica istruzione ha dato il via al nuovo anno scolastico, corredandolo
di un invito che ci ha gioiosamente stupito: «Imparate a scrivere
in buon italiano». In altri tempi si sarebbe potuto sorriderne come
di uno di quei tributi all’ovvio cui spesso s’indulge fra persone che non
hanno nulla da dirsi. Oggi, invece, ci fa sussultare per la sua audacia
e intempestività, tutto lasciandoci pensare che quello al «buon
italiano» possa anche essere considerato un invito al sabotaggio
della globalizzazione, della new economy, di Internet, di online , del
Far Web , nel cui grembo è racchiuso il futuro dell’umanità
e il cui strumento e chiave di lettura è, come tutti sanno, l’inglese.
Un momento, a prevenzione di qualche equivoco. Noi siamo da sempre ammiratori
e utenti di quella bellissima lingua che è la lingua di Shakespeare,
così come siamo partigiani, anche se più tiepidi ed esitanti,
della new economy, con tutte le diavolerie che vi sono connesse, e della
globalizzazione, perché comprendiamo che se si resta esclusi dal
globo, lo siamo da tutto.
Solo, vorremmo
entrarci non da apolidi, ma con la nostra identità culturale di
cui la lingua è insieme lo strumento e la garanzia. E ora, visto
come le cose si stanno mettendo in questo nostro Paese, preda di «pentimenti»
di ogni genere, compreso quello di esistere, come dimostra il rinnegamento
di tutto il capitolo risorgimentale della nostra Storia e l’esaltazione
delle forze sanfediste che cercarono d’impedirlo fino all’apoteosi del
Papa che se ne fece campione; temevamo che il culto del «buon italiano»
fosse l’ultima delle preoccupazioni di un ministro della Pubblica istruzione;
che, anche se non lo diceva, egli facesse capire che questo culto aveva
fatto il suo tempo, meglio sostituirlo fin dalle prime classi con quello
di un buon inglese, passe-partout del mondo nuovo; e che, insomma, il buon
italiano si avviasse alla stessa fine che, sul crepuscolo del Medio Evo,
fece il latino, diventato lingua d’aula e di corte, riservato a ristrette
audience di addetti ai lavori.
Mai ci saremmo
aspettati che in questo clima di smobilitazione un ministro della Pubblica
istruzione prendesse una posizione così netta in favore di una parte
così perdente. Evidentemente egli aveva contato (e ha contato giusto)
sul fatto che la generale attenzione fosse distratta da ben più
gravi problemi: l’elezione di Miss Italia; l’incombente esecuzione di Barnabei,
con tutti i pretesti che essa offre a virtuose prediche di civiltà
buonista; la sfida in nome del nulla di Rutelli ad Amato, e via elencando.
Fatto sta che
nessuno, in questa suscettibilissima Italia, ha fatto mostra di accorgersi,
e tanto meno di scandalizzarsi, che un ministro della Pubblica istruzione
invitasse gli studenti italiani a scrivere in buon italiano. Neppure Bossi,
che all’inumazione del buon italiano sembrerebbe il più personalmente
interessato.
A scuola dunque,
ragazzi, senza paura che «chiare fresche e dolci acque» o «quel
ramo del lago di Como» v’impediscano d’imparare il linguaggio della
new economy, di Internet e di online . Ci si può globalizzare anche
senza bisogno d’iscriversi nel registro degli apolidi.
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