Return
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 

 

Perché la nostra lingua non merita il crepuscolo

LA RESURREZIONE DEL «BUON ITALIANO»
di INDRO MONTANELLI



   Il ministro della Pubblica istruzione ha dato il via al nuovo anno scolastico, corredandolo di un invito che ci ha gioiosamente stupito: «Imparate a scrivere in buon italiano». In altri tempi si sarebbe potuto sorriderne come di uno di quei tributi all’ovvio cui spesso s’indulge fra persone che non hanno nulla da dirsi. Oggi, invece, ci fa sussultare per la sua audacia e intempestività, tutto lasciandoci pensare che quello al «buon italiano» possa anche essere considerato un invito al sabotaggio della globalizzazione, della new economy, di Internet, di online , del Far Web , nel cui grembo è racchiuso il futuro dell’umanità e il cui strumento e chiave di lettura è, come tutti sanno, l’inglese. Un momento, a prevenzione di qualche equivoco. Noi siamo da sempre ammiratori e utenti di quella bellissima lingua che è la lingua di Shakespeare, così come siamo partigiani, anche se più tiepidi ed esitanti, della new economy, con tutte le diavolerie che vi sono connesse, e della globalizzazione, perché comprendiamo che se si resta esclusi dal globo, lo siamo da tutto. 

   Solo, vorremmo entrarci non da apolidi, ma con la nostra identità culturale di cui la lingua è insieme lo strumento e la garanzia. E ora, visto come le cose si stanno mettendo in questo nostro Paese, preda di «pentimenti» di ogni genere, compreso quello di esistere, come dimostra il rinnegamento di tutto il capitolo risorgimentale della nostra Storia e l’esaltazione delle forze sanfediste che cercarono d’impedirlo fino all’apoteosi del Papa che se ne fece campione; temevamo che il culto del «buon italiano» fosse l’ultima delle preoccupazioni di un ministro della Pubblica istruzione; che, anche se non lo diceva, egli facesse capire che questo culto aveva fatto il suo tempo, meglio sostituirlo fin dalle prime classi con quello di un buon inglese, passe-partout del mondo nuovo; e che, insomma, il buon italiano si avviasse alla stessa fine che, sul crepuscolo del Medio Evo, fece il latino, diventato lingua d’aula e di corte, riservato a ristrette audience di addetti ai lavori. 

   Mai ci saremmo aspettati che in questo clima di smobilitazione un ministro della Pubblica istruzione prendesse una posizione così netta in favore di una parte così perdente. Evidentemente egli aveva contato (e ha contato giusto) sul fatto che la generale attenzione fosse distratta da ben più gravi problemi: l’elezione di Miss Italia; l’incombente esecuzione di Barnabei, con tutti i pretesti che essa offre a virtuose prediche di civiltà buonista; la sfida in nome del nulla di Rutelli ad Amato, e via elencando. 

   Fatto sta che nessuno, in questa suscettibilissima Italia, ha fatto mostra di accorgersi, e tanto meno di scandalizzarsi, che un ministro della Pubblica istruzione invitasse gli studenti italiani a scrivere in buon italiano. Neppure Bossi, che all’inumazione del buon italiano sembrerebbe il più personalmente interessato. 

   A scuola dunque, ragazzi, senza paura che «chiare fresche e dolci acque» o «quel ramo del lago di Como» v’impediscano d’imparare il linguaggio della new economy, di Internet e di online . Ci si può globalizzare anche senza bisogno d’iscriversi nel registro degli apolidi.