(News ITALIA PRESS) E’ forse
presto per fare un bilancio complessivo ed esaustivo della Prima Conferenza
degli Italiani nel mondo che, per la presenza dei numerosi contenuti discussi
e per la forza degli obiettivi che si è preposta di raggiungere,
richiederà tempi lunghi di rielaborazione e di attuazione. Eppure
una breve riflessione merita di essere rivolta alle cinque giornate di
Roma e ai laboratori e alle commissioni che parallelamente si sono svolti
in concomitanza all’evento.
Nell’editoriale precedente
ho accennato alle preoccupazioni intorno alla preparazione e all’organizzazione
di un momento di riflessione e di azione di enorme importanza quale quello
della conferenza. Cosa dire oggi?
Ebbene, come primo punto,
credo si possa affermare che la Prima Conferenza degli Italiani nel mondo
è riuscita a non essere la terza conferenza dell’emigrazione ma
ad avvicinarsi ad una vera e propria Conferenza degli Italiani nel Mondo.
Certo nella sostanza si è rivelata una conferenza di "transizione",
come doveva essere.Credo che questo sia un dato importante, non tanto perché
si vuole rinnegare o dimenticare la condizione degli emigrati, quanto per
ribadire la necessità di riformulare politiche e valori intorno
alla "nuova" condizione dei nostri connazionali all’estero.
Proprio partendo da questo
aspetto, vorrei riallacciarmi ad un secondo punto significativo che è
emerso in questi giorni e cioè alla voglia e al desiderio di coinvolgere
le istituzioni competenti, dal Ministero degli Esteri alle Regioni, dalla
Rai ai vari Ministeri del Lavoro e delle Pari Opportunità, ad avviare
un dialogo innovativo affinché le rete di elités politiche,
economiche e sociali di italiani nei vari paesi in cui si trovano ad operare,
si adoperino di piattaforme politiche e di contenuto alternative rispetto
al passato. In sé questo è un chiaro segno di una fase nuova
nella quale l’esclusiva centralità delle istituzioni della nostra
repubblica viene messa in discussione e si comincia a riconoscere che la
presenza italica nel mondo coinvolge una rete di appartenenze e poteri
ben più complesse di quella ormai invecchiata del solo nostro stato
nazionale. La Conferenza dei parlamentari di origine italiana è
stata da questo punto di vista un salutare shock rivelatore: cittadinanze,
rappresentanze, nazionalità si intrecciano in un sistema di appartenenze
plurime con il quale bisogna ormai fare i conti.
Terzo punto, sebbene le discussioni
nelle varie commissioni si siano spesso connotate di retorica e di discorsi
"fatti e rifatti", l’alternativa di adottare la categoria dell’italicità
rispetto a quella dell’italianità è risultata fondata. In
più casi, nei corridoi piuttosto che nelle aule (specialmente nelle
dichiarazioni dei giovani), è emersa la tendenza e il desiderio
di non sottovalutare né tanto meno rinnegare la vera condizione
in cui un italiano all’estero di seconda e terza generazione si trova a
vivere: non più come un italiano in Argentina, negli USA, in Canada,
in Australia, ma come un argentino, un americano, un canadese, un australiano
che vuole tenere vivi antichi rapporti con la sua origine italiana. Di
qui problemi nuovi: col passaporto, con le liste elettorali, con le lingue,
con i problemi di welfare che non sarebbero pensabili di esclusiva competenza
dello stato italiano. Il fenomeno cosiddetto delle plurime appartenenze
culturali, linguistiche e politiche, velatamente ma non per questo sottotono,
è emerso in pieno e questo ci obbliga a prendere coscienza della
nuova condizione dei nostri italiani nel mondo. E’ una condizione che permette
di far sì che i valori dell’italicità possano insediarsi
nelle comunità, stare al fianco delle diverse culture, portando
– e questo è il dato significativo – quel valore aggiunto al mondo
della politica, dell’impresa, dei gruppi sociali, capace di proporre in
un’epoca come quella della globalizzazione, un nuovo way of life che, sfruttando
le reti, aggreghi le comunità al di là dei vincoli puramente
spaziali e territoriali.
Considerando questi tre punti
si può dunque restare positivamente colpiti anche se non si può
dimenticare che non bisognerà trascurare l’importanza di trattare
il fenomeno in un’ottica europea e che c’è quindi ancora da fare.
Piero Bassetti/News ITALIA
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