PAROLE
IN CORSO L’ITALIANO ha ancora valore su molti mercati, non soltanto nel
campo della moda, del cinema, del turismo, della gastronomia, ma soprattutto
per la sua tradizione di alta cultura (arte, letteratura, musica, le scienze
nei secoli andati).
La nazione
che in un campo detiene il primato è quella che presta alle altre
lingue le parole di quel settore in cui primeggia. C'era un proverbio che
diceva "Nave genovese, e mercante fiorentino": siamo stati un popolo di
grandi viaggiatori, di grandi mercanti, di conseguenza tutte le lingue
europee (ma non solo) hanno adottato parole come "banco", "bancarotta",
"commercio", "bilancio", ecc., e quanto al navigare, l'italiano ha prestato
alle lingue di cultura parole come "pilota", "portolano", "bussola", "calamita",
"tramontana".
Il Rinascimento
è l'età del nostro maggior prestigio culturale. Le nostre
terre sono occupate, ma poiché le parole non viaggiano con le armi,
ma con l'intelletto, è toccato a noi esportare dappertutto "soldato",
"caporale", "colonnello", "sentinella", e nel campo dell'architettura militare
"casamatta", "bastione", "terrapieno".
Siamo stati maestri nel
campo musicale, ed abbiamo imprestato agli altri "fuga", "opera", "violino",
"adagio", "grave", "largo", nel '700 "pianoforte", "mandolino", "violoncello",
"barcarola", quel "bravo!" che si sente nei teatri di tutto il mondo, e
nel primo Ottocento, dalla musica operistica, "maestro", "libretto", "impresario",
"diva", "brio" (che noi avevamo preso dalla Spagna), e anche "fiasco".
La nostra supremazia nelle
belle arti ha imposto fuori d'Italia "balcone", "piedestallo", "facciata",
"cartone", e poi (nel '600) "cupola", "fresco", "frontone", "sonetto",
"madrigale".
Tutti
pensano che dopo i passati fulgori l'italiano sia ormai nel mondo una lingua
di poco conto. Certo, è soltanto al 16° posto quanto a numero
di parlanti, ma non tutti sanno (ce lo dicono Ph. Baker-J. Everley, Multilingual
Capital , Londra, Battlebridge Publications, 2000) che
negli Stati Uniti l'italiano è al 4° posto fra le lingue più
studiate, e che soltanto il 39% di quelli che lo studiano discende da italiani.
Una piccola lingua dunque la nostra, quanto a numero di parlanti nativi
nel mondo, che mostra una sorprendente vitalità. E questo accade:
1) soprattutto
per il legame dell'italiano con la sua grande tradizione intellettuale;
2) perché
il nostro Paese occupa la settima posizione tra i Paesi più industrializzati,
largamente presente dunque nel mondo con i suoi prodotti;
3) perché
oggi abbiamo almeno un milione e mezzo di emigrati stranieri che entrano
in contatto quotidiano con la nostra lingua, e 160.000 bambini stranieri
presenti nelle nostre scuole.
Insomma, non
diamoci per spacciati prima del tempo, come se parlassimo ormai una sorta
di dialetto morituro.
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