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LITTLE ITALY 
L'epopea degli emigrati che fecero l'America
Storie di italiani vissuti negli Stati Uniti
Laura Lilli /LA Repubblica 19/04/01

 
Molti romanzi del nostro tempo si basano sull'invenzione di un manoscritto ritrovato. A giorni, invece, sarà in libreria un libro zeppo di manoscritti veri - inediti al 70% - che è frutto di tre anni di ricerche vere di uno studioso in carne e ossa, Francesco Durante. Il libro si intitola Italoamericana/ Storia e letteratura degli italiani negli Stati Uniti 1776/1880 (volume I, Mondadori, pagg. 856, lire 80.000). È una antologia critica di cinquantasei autori da cui emana uno straordinario sapore di vita vissuta. Si sentono il rollio e beccheggio dei brigantini, gli applausi e le acclamazioni delle parate di Broadway, il cigolio delle ruote delle diligenze. Questo libro potrebbe segnare, per i rapporti fra le culture italiana e statunitense, una svolta simile a quella segnata nel ‘41 dall'antologia Americana di Vittorini.

Apprendiamo dunque che la storia d'Italia passa anche dagli Stati Uniti. Non solo perché fra il 1880 e il 1920 vi emigrarono quasi cinque milioni di italiani. Ma anche per altre ragioni, e da molto prima. Si pensi solo a Lorenzo da Ponte, il geniale librettista di Mozart, che già nel 1805 era a New York, in fuga per debiti dalle corti di mezz'Europa. Fu lui a far conoscere l'opera italiana negli Stati Uniti, insieme a Piero Maroncelli, uno degli esuli dello Spielberg - il famigerato carcere in cui Silvio Pellico scrisse 'Le mie prigioni', all'epoca un libro cult oltre Atlantico.

Dalla Carboneria alla Repubblica Romana del ‘49 alla massoneria, tutto il nostro Risorgimento si riverbera negli stati Uniti. New York fu il centro dell'organizzazione mazziniana, e già nel 1849 vi fu fondato un giornale italiano. Garibaldi, lo abbiamo studiato a scuola, per un po' lavorò a Staten Island nella fabbrica di candele di Antonio Meucci, l'inventore del telefono, ma non sapevamo che non costò un centesimo allo Stato di New York, al contrario del suo sontuoso «collega» ungherese Kossuth. Ancora: fra Sette e Ottocento negli Stati Uniti si aggira una gran quantità di preti italiani. Missionari diretti a convertire i «selvaggi» pellerossa ma anche - ed è una sorpresa - patrioti.
Tutti costoro hanno lasciato memorie, lettere, diari, poesie e poemi di varia ispirazione, inni anarchici, religiosi o patriottici, preghiere in versi per salvare Garibaldi ferito, invettive contro il protestantesimo, racconti, romanzi, pensieri, testi utopici, giornali di navigazione e di viaggio fra diligenze, banditi, sceriffi e cowboys. Vite tumultuose e dimenticate, fiumi d'inchiostro riversato, spesso con calligrafie illeggibili, su pagine ormai ingiallite, impolverate, spiegazzate, ammuffite, ammucchiate nel buio di ben settanta fra archivi e biblioteche in Italia e negli Usa.

Francesco Durante ha passato tre anni a frugarci dentro. Oltre a Bret Easton Ellis, Raymond Carver, William Somerset Maugham, ha tradotto John Fante, e, dice, «è di lì che ho avuto l'idea di proseguire». Ha fondato una rivista, Italoamericana, e dirige una collana di scrittori italoamericani presso l'editore Avagliano, in cui a maggio uscirà Umbertina di Helen Barolini, epica vicenda di emigrazione al femminile. 

Francesco Durante, sembra che finalmente per gli scrittori italoamericani il momento della riscossa sia giunto. Cosa ci rivelano?

«Sfatano alcuni luoghi comuni. Abbiamo sempre pensato al Risorgimento come laico e mangiapreti, ma qui ci si scopre anche il Risorgimento dei religiosi, fino ad oggi nascosti in una letteratura agiografica che siamo abituati a ignorare. Anche la lotta fra Stato e Chiesa si riverbera negli Stati Uniti, allargandosi spesso a una disputa fra cattolici e protestanti. Più in generale, il Risorgimento, guardato in questo specchio inatteso, guadagna in direzione dell'avventura. Nel 1836, i fuorusciti dello Spielberg per raggiungere New York stettero settanta giorni su un brigantino: poco meno del mitico Mayflower di un secolo prima. È vero che erano partiti da Trieste, e non da Genova, ma è vero anche che i naufragi erano continui. E l'Atlantico lo attraversavano avanti e indietro continuamente. Non avevano telegrafo, ma appena sentivano, non so come, di un moto in Italia, ripartivano per andare a combattere».

Ci sono tesori letterari nascosti che vengono alla luce?

«Su questo sarei cauto. Mi sembra che si debba prima documentare e poi ragionarci sopra. Ci sono antichi pregiudizi da sfatare, incoraggiati anche da mediatori illustri della cultura fra Italia e Stati Uniti come Borgese o Prezzolini, che avevano una visione aristocratica della letteratura. Forse conoscevano alcuni di questi testi, ma non vi vedevano che velleità e anacronismi. A mio parere, invece, l'intensa implicazione esistenziale a volte nobilita anche la stentata caratura stilistica di alcune di queste pagine. Qui l'investimento personale è fortissimo, e lo si vedrà meglio col secondo volume, dove prendono la parola i vinti, i figli del popolo. Tra contadini e manovali c'erano anche piccoli intellettuali che crearono servizi per una comunità che non parlava la lingua del posto ed era discriminata: giornali, cinema, negozi, scuole. Era la Little Italy».

Quanti erano gli italiani in Usa prima del 1880?

«Ufficialmente quattromila, concentrati fra New York e New Orleans. Io direi almeno diecimila. Erano spesso nobili o benestanti. Fino all'unità d'Italia gli esuli furono circondati da una forte corrente di simpatia. Anche perché gli Stati Uniti, paese secolarizzato e in larga parte protestante, vedevano di buon occhio le lotte contro il papato. Fra Sette e Ottocento la cultura italiana era tenuta in enorme considerazione - d'altronde il paese nasceva fondandosi su miti romani. Quando Jefferson scrive la costituzione della Virginia, il suo consigliere più fidato è l'italiano Filippo Mazzei. L'opera di Gaetano Filangeri è conosciutissima. Benjamin Franklin parlava e leggeva l'italiano, e così molti altri. Edgar Allan Poe, in un articolo, disquisisce sui Sepolcri di Foscolo».

A suo avviso gli Stati Uniti sono anche opera italiana.

«Certamente. Non c'è avvenimento, piccolo o grande, della storia di quel paese che non contenga un pizzico di presenza italiana. Il primo best seller dell'epopea western fu scritto da un italiano, Charles Angelo Siringo. Suor Blandina, una suora genovese-americana, raccolse in Arizona la confessione di Billy the Kid. Il marchese Orazio de Attellis è un eroe dell'effimera indipendenza del Texas. Centinaia di italiani si batterono nella guerra di Secessione sia fra i nordisti sia fra i confederati. E si potrebbe continuare. Basta guardare alla verità delle cose, oltre i luoghi comuni».