Per catturare
Billy the Kid ci vollero diversi giorni molte pallottole e due inseguimenti
in mezzo alla neve, resi necessari da alcune ingenuità degli uomini
di Pat Garrett, tipo abbandonare l’assedio della casa dove il bandito si
era rifugiato per andare a mangiare, pensando che non se ne accorgesse.
Lo racconta nel 1885 il siciliano,
americano acquisito, Charlie Angelo Siringo (che quella volta c’era) nel
primo best seller western della storia, "A Texas cowboy", un libro a metà
tra le memorie e l’instant-book. La cronaca di quelle notti è uno
dei pezzi forti delle 844 pagine che compongono "Italoamericana. Storia
e letteratura degli italiani negli Stati Uniti", primo volume (1776-1880),
curato da Francesco Durante, già traduttore appassionato di John
Fante.
Un’opera monumentale dedicata
alla letteratura d’emigrazione, che in questa prima parte raccoglie gli
scritti di 56 autori più o meno conosciuti, più o meno colti,
ma tutti testimoni diretti della nuova frontiera. Per la maggior parte
inediti, scovati in una settantina di archivi e biblioteche in nove anni
di ricerche, rivelano un’epopea cominciata un secolo prima della grande
emi-grazione, che vede gli italiani presenti un po’ ovunque nel periodo
a cavallo della Secessione; a cui, peraltro, parteciparono quasi equamente
divisi tra le parti com-battenti.
Vite avventurose, più
crude di quanto ce le hanno tramandate generazioni di registi hollywoodiani,
ma intrise di episodi meravigliosi e con in più il pepe della verità,
una specie di real-tv storica messa per iscritto. La grande emigrazione,
avvenuta tra il 1880 e il 1920, portò in America quattro o cinque
milioni di italiani. Nel secolo precedente i nostri connazionali che si
stabilirono nel Nuovo mondo furono ufficialmente quattromila.
Molti tra New York e New
Orleans (probabilmente oltre i dieci-mila), e ben accolti da un paese laico
e protestante: si trattava soprattutto di esuli politici molti dei quali
antipapisti. Spesso uomini di cultura e di sostanza. Contribuirono alla
nascita degli Stati Uniti in svariate maniere. Il fiorentino Filippo Mazzei
fu amico di Thomas Jefferson: lo aiutò per la stesura Costituzione
della Virginia. A Little Big Horn, assieme a Custer, c’erano il trombettiere
piemontese Giovanni Marda Belluno, detto Old Rudy, tenente delle giubbe
blu e prima ancora fra gli attentatori a Napoleone III nel 1858.
Nel 1805 era arrivato Lorenzo
Da Ponte, librettista di Mozart, in fuga dai creditori e poi, con la ritrovata
tranquillità, autore delle bellissime "Memorie". Portò in
America la musica lirica tramite la compagnia di Giacomo Montresor, il
cui maestro del coro era un certo Piero Maroncelli (il celeberrimo compagno
di detenzione di Silvio Pellico), appena uscito dalle terribili segrete
austriache. Gli "ex" dello Spielberg, nel 1836, partiti da Trieste, raggiunsero
la sponda occidentale dell’Atlantico dopo settanta giorni di navigazione
su un brigantino, una traversata degna del May-flower. E ancora un buon
numero di patrioti faceva la spola sull’Oceano al primo segno di insurrezione.
Stesso via-vai per preti
e missionari che, tra il Settecento e l’Ottocento, si riversavano in America
pervasi dal sacro fervore verso una terra di miscredenti (sic protestanti)
e selvaggi da redimere (vedi pellerossa). Un bel gruzzolo di personaggi
più o meno famosi, ma tutti scriventi: lettere, canzoni, poesie,
inni, articoli, preghiere, invettive, eccettera. Un carteggio affascinante
ricomposto criticamente nel libro curato da Durante. A proposito di religiosi,
indovinate chi confessò nel New Mexico il terribile Billy the kid:
Suor Blandina Segale, from Genova, Italy.