Silente ma non assente: è
la formula che il Quirinale usa quando vuole dire senza dire. E questa
volta Ciampi ha detto molto tra le righe. Soprattutto si è fatto
interprete di una verità che nessuno Stato liberale può sottovalutare:
la condanna verso i responsabili delle violenze che hanno messo a sacco
Genova durante il vertice, e cioè i più estremisti tra i
dimostranti, non equivale in alcun modo a una copertura degli abusi e degli
eccessi probabilmente commessi dalle forze dell’ordine, in particolare
dalla polizia, nella notte tra sabato e domenica.
Ci sono troppe teste rotte e troppe
domande in attesa di risposta nelle due scuole perquisite e nella caserma
Bolzaneto. E c’è un Parlamento che purtroppo ha perso tempo rispetto
all’unica iniziativa ragionevole e adeguata alla gravità del caso:
una commissione d’indagine agile e snella, volta non a stravolgere la realtà
dei fatti e a far passare i delinquenti del “Black bloc” per vittime innocenti,
bensì a far luce sugli angoli bui della repressione. Soprattutto
quando essa è apparsa tanto brutale quanto tardiva. Abbiamo avuto
invece un’opposizione irrigidita in una mossa di pura propaganda (la mozione
contro il ministro Scajola) e una maggioranza arroccata e miope, lenta
a percepire il vero pericolo incombente.
Non sarebbe l’inchiesta sui fatti
di Genova a indebolire il governo, ma il fluire incontrollato del veleno,
lo stillicidio delle voci e delle denunce, il succedersi di filmati e video
amatoriali ciascuno portatore di una propria verità, quei volti
senza nome che bastonano e insultano.
Le indagini della magistratura sono
essenziali ma il Parlamento non poteva lavarsene le mani. Se qualcosa è
cambiato nelle ultime ore, non è una vittoria dell’opposizione,
ma del buon senso. Potremmo dire che è una vittoria delle istituzioni
che si sentono abbastanza forti da non temere le verità scomode.
Se un’intesa si è delineata dopo che per giorni solo pochissimi
hanno avuto il merito e il coraggio di rompere il muro delle reciproche
intransigenze, il contributo di Ciampi è stato determinante. Quelle
parole sobrie ed equilibrate, in cui vibra un accento di sincerità
personale, contengono più senso politico di certe esercitazioni
parlamentari di maniera. Il presidente della Repubblica, non dimentichiamolo,
aveva condannato senza riserve le violenze dei manifestanti, la sera di
quel tragico venerdì 20, apparendo in tv al fianco di Berlusconi.
La sua dichiarazione di ieri non contraddice in nulla le parole di allora,
solo le completa alla luce degli eventi successivi. È un richiamo
alla forza consapevole delle istituzioni, contrapposta alla cieca brutalità
della piazza e di spezzoni di apparato sfuggiti al controllo.
Sappiamo che l’uscita del Quirinale
non è improvvisata, ma è il frutto di giorni di riflessione
in cui il capo dello Stato si è tenuto in stretto contatto con gli
altri due soggetti del triangolo istituzionale, ossia i presidenti delle
Camere, Pera e Casini. Oltre naturalmente al presidente del Consiglio.
Se alla fine di questo percorso maggioranza
e opposizione escono dalle loro trincee e trovano un punto d’incontro nell’esigenza
di fare chiarezza, significa che la qualità della nostra democrazia
è migliore di quanto noi stessi talvolta supponiamo. Il che speriamo
sarà notato da quegli osservatori stranieri che in questi giorni
hanno addirittura messo in dubbio che l’Italia sia uno Stato di diritto.
Per fortuna lo siamo, quando governa il centrodestra non meno di quando
a palazzo Chigi c’è il centrosinistra. E il Cile di Pinochet è
lontanissimo.