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Tremaglia, dalla parte dei clandestini 
senza il pegno del glamour
Pietrangelo Buttafuoco -IL FOGLIO/10 AGOSTO 2001

 
Donnalucata. "Un Paese che non sa accogliere è un Paese barbaro". Chiaro e tondo. Molto più avanti di Manu Chao [il cantante anti G-8], Mirko Tremaglia che è un sociale serio sta dalla parte dei clandestini senza il pegno del glamour. A differenza della stragrande parte della maggioranza di governo fradicia di quarantottite, poi, Mirko Tremaglia che la guerra l’ha fatta per davvero, di detta quarantottite non è affetto.

Non solo predica a favore di una riconciliazione con la sinistra, non solo ci collabora chiamando a sé esponenti dei Ds, non solo durante Genova aveva detto che sarebbe stato opportuno lavorare fianco a fianco con l’opposizione, ma a proposito degli immigrati clandestini che sono la manna della demagogia e degli esorcismi populisti della destra di governo, Tremaglia, che solo per eufemismo si può definire di destra, tanto è "patriottico", Tremaglia che a fianco del popolo ci sta davvero, dice chiaro e tondo no.

Ministro per gli italiani all’Estero, ha detto no a una legge – la legge Bossi-Fini – che considera criminali quei clandestini che arrivano nella patria dei presepi per cercare un lavoro e quindi s’è detto "contrario a tutte le leggi che parlano di reati nei confronti dei clandestini o di contratti a termine perché, se così fosse, sessanta milioni di italiani sarebbero dovuti tornare". Un Paese come il Paese dei sessanta milioni di paesani d’Italia nel mondo, il Paese che è stato il Paese di Long Island e quindi degli zii d’America, di Marcinelle e quindi dei minatori, il Paese appunto della Mercedes e quindi dei capannoni, il Paese dei pacchi di sigarette comprate in Olanda per fare figura dopo, a Nissoria,

Paese di automobili in giallo sgargiante addobbate con la felicità pacchiana di coprivolante in pelliccia, cagnolino semovente nel cruscotto e antenna radio lunga tanto da arrivare in onde medie dal ferribotte a Stoccarda, non può fare la faccia feroce con chi oggi guarda all’Italia che è la Patria dei paesani del fagotto, per trovarvi un lavoro e la dignità del pane.

E’ fatto così il Mirko, non concede ovvietà agli idioti – come sono stati idioti i soliti belgi che l’hanno contestato nella sua prima uscita pubblica all’estero – non regala ovvietà ai pigri che avrebbero voluto trovare in lui i luoghi comuni del rimbrotto democratico e antifascista. Oscar Luigi Scalfaro, che dei luoghi comuni è un coscienzioso impiegato, lo depennò dall’elenco dei ministri del primo governo Berlusconi, non volendo controfirmare la sorpresa di mettere a capo del dicastero di rappresentanza dei sacrifici italiani nel mondo un soldato di Salò. Di Salò il Mirko è stato volontario prima, testimone dopo, ma non ha mai fatto tabù di rancore con l’Italia di amici e nemici tanto che, a dispetto dei luoghi comuni, Carlo Azeglio Ciampi, nel secondo governo Berlusconi, lo ha voluto fortissimamente invece, neppure messo in quota di An, ma a prescindere. Il primo a congratularsi fu ovviamente il suo amico Piero Fassino, il secondo Luciano Violante. E nelle ovvie dichiarazioni di commento sul governo Berlusconi fatte dalle opposizioni, a parte la citrulla relazione di maniera di qualche acido (Oliviero Diliberto per esempio), la musica è stata imposta dall’insolito refrain: peste e corna su tutto, fatto salvo il Mirko.

E’ fatto proprio così il Mirko, è adorato da una pletora di strani figuranti della vita sociale. Dalla famiglia Agnelli a Renzo Arbore, adorato perfino da Antonio Di Pietro che lo ha a lungo circuito senza mai riuscirci, a rapirlo, perché la qualità prima del Mirko, infine, è la sua granitica pulizia morale, la cieca onestà che lo rende privo di malizie nella religione del dovere ma immune dalle mascalzonate dei furbi al mercato. E’ un monumento il Mirko, instancabile pastore di quel gregge di sacrificio che sono stati gli italiani lavoratori nel mondo, ha impedito che a Marcinelle, nel luogo dove morirono 45 anni fa 262 minatori tra cui 136 italiani, venisse costruito un supermercato. E non solo per onorare la morte l’ha fatto, ma per difendere i vivi, proteggere gli sforzi di chi di lavoro sopravvive: "Gli italiani in Belgio erano trattati peggio delle bestie. Per questo, da Marcinelle affermerò che tutti gli emigranti, ripeto, tutti quelli che emigrano qualunque sia la loro origine, devono essere trattati con rispetto". E’ fatto veramente così il Mirko. Aveva un figlio meraviglioso e tutti ci scherzavano con lui chiedendogli come potesse mai avere lui – lui che è così – un figlio come Marzio, un vero e proprio angelo, l’indimenticato assessore alla Cultura della Regione Lombardia. Quando il Mirko diventò ministro, l’altro suo amico del cuore, Vittorio Feltri, gli dedicò una Caffeina: "Marzio diceva sempre: ‘Mio padre è partito volontario a quindici anni e non è più tornato’. Peccato che proprio oggi che Mirko è tornato non ci sia Marzio". E’ solo questo il Mirko: uno in corsa con la vita per quel figlio che fu il senso e il significato del suo indistruttibile destino.

Pietrangelo Buttafuoco