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LO SCOOP DELLA FALLACI: UN ALTRO TRAGICO EFFETTO DELL’ATTENTATO TERRORISTICO DELL’11 SETTEMBRE
Editrice FILEF - 8 ottobre 2001

 
  L’avvizzimento delle coscienze può avere molte ragioni: anche di carattere fisiologico; il livore e l’accanimento nascono spesso da ragioni personali.

  Le quattro pagine scoop, dedicate al lunghissimo intervento di Oriana Fallaci sul Corriere della Sera di sabato 29 settembre sono esemplari per la loro forza, la loro inusitata coerenza, la loro virulenza, la loro unilateralità. 

  Nessuna distinzione, nessuna problematizzazione, nessun limite, neanche linguistico; la merda presunta o immaginaria degli immigrati arabi in Piazza della Signoria, a Firenze, pare avvolgere e unificare in un tutto omogeneo, Arafat, Bin Laden, i Paesi islamici, il chador, la gastronomia dell’oriente; interi popoli e nazioni, gli “intellettuali ciechi ed ipocriti”, i giovani contestatori assimilati ai fascisti, la sinistra, gli antirazzisti, tutta la storia viene inglobata nella vendicativa visione dell’anziana signora di Manhattan.

  D’altra parte, l’orgoglio di appartenere alla élite eletta dell’Occidente, con i suoi mirabolanti fasti, le sue conquiste, la sua supremazia, e l’America, o meglio gli USA, come l’esempio più alto di popolo e di Stato votato alla libertà e alla sua difesa.
La vecchia signora malata, è nel suo tranquillo appartamento di Manhattan, il centro del mondo, dove improvvisamente si manifesta la catastrofe,  terribile, impossibile, anche se, come dice lei “attesa”.

  Perché “attesa”?

  Non ce lo dice chiaramente; ma lo si intuisce: attesa ed inevitabile perché l’occidente (tra cui viene censita l’Unione Sovietica) non è riuscita ad estirpare per sempre la mala pianta dell’islam; non ce la fece in Afghanistan, e non ce la fece con la guerra del golfo. Per la Signora Fallaci, non sembra esserci altra strada che il pugno di ferro totale, verso una realtà che sulla violenza è intrinsecamente costruita, come si può facilmente dedurre dalla lettura del Corano (ma la Bibbia è poi così diversa?) e da tutte le storie personali che ci racconta sulle sue disavventure di donna giornalista in Iran, in Libano, ecc. 

  Strada facendo, scrivendo, lei capisce che alle sue argomentazioni si può opporre qualcosa (cioè alcuni episodi poco eclatanti della storia dell’occidente), e quindi cerca di anticiparle: “si, lo so, che si può dire questo e quest’altro, ma, in estrema sintesi, non me ne frega un cazzo; io sono italiana, sono orgogliosa della mia bandiera, della mia patria, della mia lingua, al punto che, per esempio, non ho preso la cittadinanza americana offertami. Chi non la pensa così non ha le palle, e senza palle, un uomo non è un uomo”, come diceva il padre della Fallaci. 
Parole da toscanaccia, che si possono udire nelle accese tenzoni tra i quartieri delle città medioevali del centro Italia; quest’Italia patria della più grande civiltà, che da Roma, passando per Firenze rinascimentale, arriva agli Stati Uniti d’America.  Il disprezzo verso l’altro, che sale da queste pagine, è di una limpidezza sconvolgente; sconvolgente come le pagine, che abbiamo letto nello stesso giorno, del manuale tecnico e spirituale dei terroristi immolatisi per la loro patria, quella di un islam che compendia, nella loro visione, la strage e la catastrofe.
La scrittura può non avere mezze misure; e spesso il testo assume una sua oggettiva essenza; non necessariamente corrispondente a chi l’ha scritto. E lo scrittore, sostiene Borges, può essere migliore, o peggiore di ciò che ha scritto. In questo caso però, appare complicato operare questa distinzione, e le parole, in questi giorni, sono massi, non pietre.

  Allora, questa lunga assenza di Oriana Fallaci dal palcoscenico – 10 anni – poteva non essere interrotta. Invece è stata interrotta.

  E questo è un altro dei tragici effetti dell’attentato terroristico dell’11 settembre.  

  R.r.t.