Camera dei Deputati
- 9 ottobre 2001
Signor Presidente, Onorevoli deputati,
ho seguito al Senato e poi alla Camera
gran parte della discussione sugli sviluppi della crisi internazionale.
Permettetemi, ora, di aggiungere all'esposizione molto dettagliata del
ministro degli esteri Ruggiero - che rappresenta la posizione del Governo
- qualche considerazione di ordine generale che ho già avuto modo
di svolgere questo pomeriggio nell'aula del Senato.
Consideriamo le operazioni militari
in Afghanistan un atto di giustizia contro la barbarie.
È fuor di dubbio che occorre
sradicare la rete terroristica mondiale.
È fuor di dubbio che occorre
far pagare un prezzo risolutivo a quei regimi che ospitano, nutrono, proteggono
le basi da cui partono gli attacchi contro le nostre libertà, contro
la nostra sicurezza, contro il nostro stesso modo di vivere. Questi valori
nei momenti decisivi devono essere difesi anche con l'uso proporzionato
ma inflessibile della forza. Ce lo impone il dovere che abbiamo verso tante,
troppe, vittime innocenti, tanti uomini e tante donne che avevano appena
aperto la porta del loro ufficio quella mattina dell'11 settembre e non
sapevano di essere stati condannati a morte da un pugno di fanatici che
vogliono mettere in ginocchio il mondo diffondendo il terrore e l'insicurezza.
Il Presidente Bush sta facendo quello
che la comunità internazionale si aspettava dagli Stati Uniti d'America:
collegare la legittima difesa del suo paese alla responsabilità
che una grande potenza ha verso il mondo. Per questo, ha promosso una vasta
coalizione contro il terrorismo. Tutti i leader di questa coalizione condividono
i valori in nome dei quali ci battiamo: il riconoscimento dei diritti di
ciascuno a percorrere in pace il nostro cammino, la tolleranza verso i
diversi, la capacità di convivere su questa terra, quale che sia
il diverso credo civile o religioso. Sono queste le nostre bandiere; è
questo il nostro comune patriottismo.
Il nostro nemico è invece uno
solo: la rete del terrorismo, di chi lo difende, di chi lo protegge.
Nel Consiglio atlantico abbiamo confermato
che gli obiettivi di un'azione militare - che purtroppo già intravediamo
come lunga e difficile - saranno calibrati con la massima precisione possibile,
al fine di non mietere vittime civili.
Il ricorso all'uso della forza per
distruggere le centrali del terrorismo internazionale è stato autorizzato
dalle Nazioni Unite con le risoluzioni del Consiglio di sicurezza e nel
rispetto della carta dei principi su cui si fonda la comunità delle
nazioni.
In questa campagna di giustizia e
di difesa delle libertà, l'Italia farà la sua parte. La faremo
senza riserve e fino in fondo. Lo faremo per garantire la nostra sicurezza
e per proteggere le nostre libertà. Lo vuole anche la nostra tradizione
liberale ed umanitaria, che ci ha portato a fare - sempre - quel che dovevamo
nei momenti decisivi della nostra storia. Sradicare il terrorismo è
la premessa indispensabile per riaffermare la giustizia e la pace; è
una missione per la quale si deve compiere il massimo sforzo di coesione
e di impegno nazionale, al di sopra di qualsiasi divisione.
Ma c'è, oggi, nella comunità
internazionale, anche una nuova consapevolezza: la consapevolezza della
necessità di dare risposte alle ansie ed alle preoccupazioni dei
popoli più sofferenti del pianeta. L'Italia, in questa direzione,
ha moltiplicato il suo impegno per attuare strategie globali per la lotta
alla fame, alla povertà, alle malattie. Ma non basta. Come ha scritto
il presidente della Banca mondiale, è impossibile prevenire i conflitti
ed instaurare la pace senza promuovere la coesione sociale e l'integrazione.
Bisogna puntare sulla creazione di
reddito di lavoro, ma anche sull'istruzione e sulla tutela della salute;
e bisogna farlo tanto più adesso, nella presente, difficile congiuntura
che rischia di essere pagata soprattutto dai paesi e dalle aree più
povere del pianeta. Wolfensohn cita i progetti incontro per il bacino del
Nilo, per la Bosnia, per Timor Orientale e per il Rwanda. Ma, a nostro
parere, una preoccupazione speciale deve essere dedicata alla Palestina.
Finché in Medio Oriente si fronteggeranno la robusta società
israeliana e la fragile, disperata società palestinese, non sarà
facile trovare una tregua, non sarà facile arrivare ad una pace
duratura. Abbiamo avuto modo di sottolineare questa nostra visione in tutte
le sedi internazionali ed in tutti gli incontri bilaterali che abbiamo
avuto negli ultimi tempi: è ora che si appresti un progetto concreto
di investimenti finanziari in Palestina per realizzare strade, scuole,
ospedali, fabbriche e per portare là reddito e lavoro.
Non è possibile aspettare in
altro modo e sperare, senza questi interventi, di realizzare una pace permanente.
La pace bisogna prepararla e poi bisogna saperla conservare; e preparare
la pace vuol dire anche costruire condizioni minime di benessere e di serenità.
L'Italia intende prendere un'iniziativa,
che potrebbe essere inserita in un più ampio quadro europeo ed occidentale,
per dare vita ad una lunga ma sicura azione di miglioramento delle condizioni
di vita della Cisgiordania e di tutti i territori che fanno riferimento
all'Autorità nazionale palestinese Bisogna associare il settore
privato e far capire alle grandi multinazionali che sarà anche nel
loro interesse andare là a costruire degli impianti per dare lavoro;
bisogna associare, quindi, anche il settore privato ad un grande sforzo
pubblico di investimenti sul modello e sulla scala del piano Marshall:
un piano il cui scopo sia quello di dare un contributo al rasserenamento
ed alla pacificazione di quell'area, tormentata da più di mezzo
secolo.
Sono assolutamente convinto, conoscendo
in profondità quella situazione, avendo parlato con molti amici
che da molti anni frequento nel mondo arabo e nella Palestina, ma anche
in Israele, che, trovata una tregua, trovata una pace, non ci potrà
essere davvero la possibilità che questa pace permanga se non si
cambierà la distanza che c'è oggi tra il benessere israeliano
e l'assoluta indigenza dei giovani palestinesi. Se questo non si farà,
si ritornerà ad aprire una ferita, un'ulcera che infetterà
ancora, come ha infettato ed infetta oggi, non solo il Medio Oriente, ma
tutto il mondo islamico.
Signor Presidente, signori deputati,
in questi tempi difficili il Governo adempierà ai suoi compiti ed
eserciterà i suoi poteri con il massimo spirito di apertura verso
i dubbi, le ansie e le domande della società civile.
Sul piano istituzionale informeremo
il Parlamento ogni volta che sarà necessario o richiesto, manterremo
un contatto permanente con le opposizioni, lavoreremo in stretta cooperazione
con i nostri alleati della NATO.
Le nostre forze armate ed ogni altro
apparato di sicurezza sono ormai da settimane in stato di massima vigilanza.
Mi appello quindi al senso di responsabilità
di tutti i cittadini; dobbiamo saper vivere questo momento con coraggio
e con serenità.
Ho l'assoluta certezza che questa
è una battaglia che i nemici della civiltà hanno già
perso, una battaglia che vinceremo vincendo la rassegnazione, la paura
e lo spirito di resa.
Siamo pronti, come ha detto il Capo
dello Stato, a fare senza indugi il nostro dovere di grande paese democratico.
Siamo anche consapevoli di una precisa strategia politica che anima l'azione
dei terroristi: portare l'integralismo ed il fanatismo al potere.
Il nostro obiettivo è invece
quello di trovare dei punti di intesa con il mondo dei vari paesi dell'area
islamica, e siamo certi, assolutamente certi, che nessuna forza culturale
o religiosa dell'islam punta sul terrorismo come mezzo di lotta contro
l'occidente.
Noi vogliamo creare un consenso tra
il mondo islamico ed il mondo occidentale fondato sul rifiuto della violenza.
Noi vogliamo creare un ponte di amicizia tra le due civiltà; vogliamo
una pace profonda, non il conflitto tra l'occidente e l'islam, anche se
siamo convinti che lo stesso vigore con cui l'islam afferma la sua identità
deve dare a noi cittadini, figli dell'occidente, la coscienza e l'orgoglio
dei nostri valori, delle nostre conquiste democratiche, delle nostre radici
spirituali.
Concludo, signor Presidente, esprimendo
a nome di tutto il paese, in un passaggio così difficile della vita
internazionale, la solidarietà italiana a tutti coloro che in queste
ore si stanno battendo per la sicurezza di tutti. Porterò questa
solidarietà fattiva, fondata su una storica alleanza e su una forte
amicizia, al Presidente degli Stati Uniti nel corso del mio prossimo viaggio
a Washington. Il Governo garantisce che questa solidarietà non sarà
fatta di sole parole.
Vi ringrazio