MESSAGGIO DI FINE
ANNO
DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
AGLI ITALIANI
Palazzo del Quirinale, 31
dicembre 2001
"Care italiane, cari italiani,
eccomi giunto al mio terzo
appuntamento di fine anno con voi. Voglio anzitutto rivolgervi un augurio
sincero di buon anno: un augurio a voi che vivete in Patria, e a tutte
le comunità di Italiani all'estero, che come noi hanno nel cuore
l'Italia.
Il mio pensiero augurale
va in particolar modo agli Italiani d'Argentina, e all'Argentina in crisi:
possa questo grande Paese, che sentiamo a noi così vicino, ritrovare
presto la strada della serenità e del progresso.
Quando ho cominciato a pensare
a ciò che volevo dirvi, mi sono subito venuti alla mente due eventi,
di natura e di significato opposti.
Uno sta per compiersi: fra
poche ore, in dodici Paesi dell'Unione Europea, comincerà a circolare
la stessa e unica moneta, l'euro. Stiamo per dire addio alla lira, con
nostalgia, nel ricordo soprattutto di quanto ha significato per l'unità
d'Italia dalla sua nascita nel 1862, allorchè sostituì le
diverse monete che circolavano negli stati italiani pre-unitari.
Fu un veicolo della nostra
unità.
Ora nasce l'euro. E' la
prima volta nella storia che, per libera scelta, non per imposizione a
seguito di conquiste territoriali o di eventi straordinari, un così
numeroso gruppo di Paesi, nei quali vivono oltre 300 milioni di persone,
si dà una moneta unica. Al di là di ogni considerazione economica,
è un grande segno di pace; è la prova concreta, definitiva,
dell'impegno solenne assunto dai popoli europei di vivere insieme.
L'altro evento che ho nella
mente è fissato in un'immagine tragica: i due aerei dirottati fatti
esplodere contro le torri gemelle di New York; i grattacieli che crollano
seppellendo migliaia di innocenti.
Un atto di barbaro terrorismo.
E' un'immagine che non dimenticheremo, che non dobbiamo dimenticare. Ma
non deve diventare il nostro incubo; ci deve tener sempre vigili nel difendere
la civiltà.
Quel drammatico 11 settembre
- l'aggressione crudele a un Paese amico, gli Stati Uniti d'America, dove
vivono milioni di Italiani o discendenti di Italiani che hanno contribuito
a farlo grande col loro lavoro - ha riportato di colpo al nostro orizzonte
lo spettro della guerra.
Nell'animo di un uomo della
mia generazione, la parola guerra fa riaffiorare molti ricordi. A cominciare
dall'estate del 1939: lo scoppio della seconda guerra mondiale. Vissi quell'estate,
insieme con giovani di tanti Paesi d'Europa, all'università di Bonn
in Germania. Studiavamo il tedesco. A me doveva servire - avevo diciannove
anni - per approfondire la conoscenza della filologia classica, la disciplina
che avevo scelto.
La mattina, giovani coetanei,
francesi, italiani, belgi, inglesi, frequentavamo l'Università.
Nel pomeriggio ci si ritrovava sulle rive del Reno, anche con amici tedeschi.
Parlavamo, con un misto
di incredulità e di turbamento, con la spensieratezza dei vent'anni,
della tempesta che stava per scoppiare sulle nostre teste, che avrebbe
potuto portarci a combattere gli uni contro gli altri. E accadde l'irreparabile.
Coloro che ebbero la fortuna
di sopravvivere - e non dimenticheremo mai i volti dei compagni caduti
nella giovinezza - fecero nei loro cuori un giuramento: mai più
guerre tra noi.
Nei nostri animi si accese
una passione che non si è più spenta. E' la passione che
ha generato l'Unione Europea.
Alla base del suo successo
sta il principio che ispirò la prima creazione comunitaria, la Comunità
del Carbone e dell'Acciaio: mettere in comune, anzichè spartire.
Allora furono messi in comune il carbone e l'acciaio: ora, con l'euro,
la moneta. Si rinuncia a parti di sovranità nazionale, per acquisire
insieme una nuova sovranità, la capacità di governare insieme
il nostro destino comune.
Fatto l'euro, l'integrazione
europea andrà avanti.
Integrazione, a qual fine?
Per contare di più. Le vicende che viviamo ci dicono che nel mondo
c'è più bisogno d'Europa.
L'Europa unita è già
oggi, ma deve diventare ancor più in avvenire, una grande forza
di pace, per sè e per tutti i popoli. Per esserlo, l'Unione Europea
deve trasformarsi in un soggetto politico unitario. Deve poter parlare
con una sola voce sui grandi problemi. Deve operare per la crescita di
un sistema di istituzioni di governo mondiale.
In questi ultimi anni Europei,
Americani, Russi abbiamo lavorato insieme nei Balcani, dove odi insensati
avevano fatto esplodere conflitti, creando una minaccia gravissima per
tutti.
C'erano stati massacri,
deportazioni di interi popoli.
Per porre fine a quelle tragedie,
per proteggere i perseguitati, per permettere loro di ritornare alle loro
case, non esitammo a impiegare le nostre Forze Armate. Non c'era altra
scelta.
Possiamo essere orgogliosi
di ciò che hanno fatto e fanno, in Albania, in Bosnia, nel Kosovo,
in Macedonia, in Eritrea, i nostri ragazzi in uniforme, e i nostri volontari
civili, impegnati in opere a favore dei profughi, dei più deboli.
Siamo orgogliosi dello spirito
con cui gli uni e gli altri hanno svolto e svolgono il loro compito, riuscendo
a farsi stimare perchè sono portatori di pace.
Lo sono anche le unità
ora destinate all'Afghanistan, impegnate nel quadro di una missione internazionale
in un compito difficile, ma necessario: aiutare a ricostruire uno Stato
nella legalità. A tutti i nostri militari e volontari nel mondo
va il mio fervido augurio.
Oggi, dopo l'11 settembre,
non dobbiamo esitare a combattere un nemico particolarmente insidioso,
una rete terroristica internazionale, ispirata da un fanatismo irrazionale.
Questa lotta non giungerà
al pieno successo, se affidata soltanto alle armi. E' necessario il sostegno
concorde dei popoli. Essi chiedono una maggiore giustizia, per ridurre
le enormi disuguaglianze che caratterizzano la società moderna.
Il progresso, la cosiddetta
globalizzazione, hanno avvicinato l'umanità, nel tempo e nello spazio.
Il confronto fra le condizioni di vita dei popoli ricchi, e di quelli privi
dei beni essenziali per la sopravvivenza, si è fatto intollerabile.
Se guardiamo la Terra dallo
spazio, con i nostri astronauti, ci sentiamo padroni del mondo. Ma la televisione
ci porta ogni giorno immagini, che ci sconvolgono, di guerra, di fame,
di malattie.
E' necessario mobilitare
tutte le nostre risorse per eliminare la miseria, fonte di disperazione,
terreno di coltura della violenza; così come per salvaguardare l'ambiente,
nell'interesse dell'intero genere umano.
Oggi abbiamo i mezzi per
farlo, dobbiamo e possiamo farlo.
L'Europa propone al mondo
il principio del dialogo: a cominciare da quello col mondo islamico, che
ci è così vicino, sull'altra sponda del Mediterraneo.
E' necessario per il bene
comune che si parlino, in spirito di amicizia e di tolleranza reciproca,
tutte le nazioni della terra.
Nel Medio Oriente, vi è
una disperata necessità di dialogo fra Israele e l'Autorità
Nazionale Palestinese: senza dialogo, come si può sperare di porre
fine alla cieca spirale di sangue che lascia i popoli senza un futuro?
Toccano i nostri cuori le
parole che il Papa rivolge all'umanità. Egli ha invitato tutti "a
mobilitare le migliori energie, perchè l'amore prevalga sull'odio,
la pace sulla guerra, la verità sulla menzogna, il perdono sulla
vendetta.
Al Santo Padre invio il mio
saluto grato e augurale per il nuovo anno. Insieme con lui respingiamo
ogni idea di una guerra di religione. Una siffatta guerra non c'è
e non ci sarà; ripugna alle nostre coscienze, contraddice il fondamentale
principio che è il rispetto dei diritti di ogni essere umano.
Vengo all'Italia. L'amore
della libertà, la volontà di dialogo, sono i principi ai
quali si ispira l'idea di Stato che i padri della nostra Repubblica hanno
disegnato quando hanno scritto insieme, pur divisi com'erano da dissensi
politici, il testo della nostra Costituzione.
La loro ispirazione veniva
da lontano, dalla nostra identità di popolo, come l'avevano costruita
secoli e millenni di una grande storia, che ha visto sempre l'Italia all'avanguardia
della civiltà.
Nei due anni e mezzo trascorsi
dalla mia elezione ho compiuto un primo viaggio in Italia. Ne ho visitato
oramai quasi tutte le regioni. Continuerò, di provincia in provincia.
E' un viaggio bellissimo:
ne traggo vigore, fiducia, orgoglio sempre più forte di essere italiano.
Ovunque avverto, nella ricchezza delle diversità delle nostre contrade,
quel "sapore d'Italia" che viaggiatori del presente e del passato hanno
sempre avvertito, che è natura, arte, lingua, cultura, modo di vita.
Le radici dell'italianità sono antiche. E' antica la nostra nazione.
Ma le origini del nostro Stato sono assai più vicine. Risalgono
all'inizio dell'Ottocento, allorchè uno stuolo di uomini di pensiero,
poeti, letterati, filosofi, economisti, mossi da un grande amore per l'Italia,
animati da un profondo senso etico, da alti ideali e principi, diventarono
anche uomini d'azione, e uomini di stato.
Quel movimento si pose chiari
obiettivi: libertà; unità; indipendenza della Patria, dell'Italia.
Si diffuse e fu vissuto con intensa passione civile. Si nutrì della
consapevolezza delle radici profonde della nostra storia, della nostra
civiltà. Non a caso fu chiamato Risorgimento. L'Inno di Mameli divenne
l'inno della nazione italiana, l'inno del risveglio di un popolo.
I grandi del Risorgimento
non fecero sogni di conquista. Sognarono l'unità e la libertà
d'Italia, e l'indipendenza di tutti i popoli.
Vi è continuità
fra gli ideali del Risorgimento e la Costituzione repubblicana, che l'Italia
si è data dopo avere riconquistato la libertà con la Resistenza.
Così come vi è continuità con la costruzione di un'Unione
Europea che sia una Federazione di Stati-Nazione.
Sono imprese grandi. Con
esse noi, eredi dei padri fondatori dell'Italia e dell'Europa, dobbiamo
confrontarci. L'Italia è sempre stata ed intende rimanere all'avanguardia
nell'integrazione europea.
Non possiamo sfuggire alle
sfide che la storia del Ventunesimo Secolo ci propone.
Per preparare le nuove generazioni
ad affrontarle bene, accanto alla famiglia, che è l'istituzione
base della nostra società, deve operare una scuola capace di svolgere,
con rinnovato impegno, il suo ruolo insostituibile di servizio pubblico:
una scuola volta a formare i giovani, a prepararli ad assolvere responsabilmente
i loro compiti di cittadini, e a favorire il loro inserimento, operoso
e creativo, in una società che cambia ed avanza con tempi sempre
più rapidi.
Ci guidano alcuni principi,
che uniscono gli Italiani, al di là delle diversità d'idee
politiche.
Siamo una democrazia parlamentare.
Chi ha avuto la maggioranza, abbia modo, governando, di dimostrare quanto
vale, quanto sa fare per il progresso del nostro popolo. Chi è minoranza
eserciti con impegno e responsabilità il compito indispensabile
dell'opposizione: di controllo, di critica, di proposta.
Il dialogo fra le due parti,
per essere costruttivo, presuppone che nella maggioranza la disponibilità
all'ascolto, attento e aperto, della voce dell'opposizione, prevalga sulla
tentazione di affidarsi sbrigativamente al rapporto di forza parlamentare;
e che nell'opposizione la consapevolezza del diritto del Governo di portare
avanti il proprio programma prevalga sulla tentazione del ricorso sistematico
all'ostruzionismo.
Una democrazia funziona bene
se ciascuna istituzione esercita il proprio compito rispettando i limiti
delle proprie competenze.
La separazione dei poteri,
il giudizio della Corte Costituzionale sulla costituzionalità delle
leggi, la soggezione dei giudici esclusivamente alla legge, la neutralità
e l'imparzialità delle Pubbliche Amministrazioni, garantiscono la
libertà di tutti i cittadini.
Il passaggio di funzioni
dal governo centrale alle autorità di governo regionali e locali
avvicina le istituzioni ai cittadini, valorizzando le autonomie. Questo
passaggio deve avvenire razionalmente, al fine di rafforzare, non indebolire,
l'unità nazionale.
La Repubblica è una
e indivisibile.
Nel nostro ordinamento, il
Presidente della Repubblica non ha, fra i suoi compiti, quello di governare.
Egli rappresenta l'unità nazionale; vigila ed opera perchè
siano rispettati i principi costituzionali; ha il diritto-dovere di consigliare.
Avverto tutta la responsabilità
di rappresentarvi. Come guida, ho la Costituzione; le nostre tradizioni
democratiche; il giuramento prestato dinanzi ai rappresentanti eletti della
Nazione; la mia coscienza.
Cari Italiani, care Italiane,
gli innumerevoli incontri
che ho avuto con voi, in Italia e all'estero, mi danno fiducia, anche in
un momento per tanti aspetti difficile per tutti.
Ho fiducia nell'Italia. Ho
fiducia nel popolo italiano. Ho fiducia nelle istituzioni che ci siamo
liberamente dati. E ho fiducia nell'Europa, la nostra nuova Patria più
grande, che stiamo costruendo.
Ai giovani rivolgo un augurio:
continuate a sognare, a guardare lontano. E' un'abitudine che, dopo 81
anni, non ho ancora perduto. Se siete convinti di avere un'idea giusta,
per migliorare il mondo in cui vivete, perseguitene la realizzazione, con
tenacia, sempre nel rispetto delle libertà di tutti. Tanti nostri
sogni impossibili si sono avverati. Così sarà dei vostri.
A voi tutti, ovunque vi troviate,
in Italia o nel mondo, auguro di nuovo, con tutto il cuore - e all'augurio
si unisce mia moglie - un buon 2002.