Ghileana Galli/News ITALIA
PRESS - New York - 30/1/2002
Da oltre trent’anni vive
negli Stati Uniti, dove è giunta dodicenne insieme alla sua famiglia,
partita dall’italiana Trieste; ma in questi anni è riuscita a fare
della cucina italiana un vero e proprio “manifesto”, promuovendola in programmi
televisivi, libri, ristoranti, e iniziative di vario tipo: si tratta di
Lidia Matticchio Bastianich, oggi uno dei volti più noti dell’enogastronomia
“Italian-American”. “Tutto ciò è nato semplicemente grazie
alla mia passione – ha spiegato Lidia - e alla mia intenzione di fondere
insieme la mia cultura e la cultura americana, così come far capire
ai miei amici americani le mie origini. E visto che la cucina era ciò
che conoscevo meglio dell’Italia, questo mi è sembrato il mezzo
ideale per diffondere le mie tradizioni”: una passione che si è
trasformata così in un vero e proprio “impero”, un marchio di qualità
conosciuto negli Stati Uniti, in Italia, ma anche all’estero.
Signora Lidia, ci può
parlare delle sue origini, e di quando è arrivata negli Stati Uniti?
Io sono giuliana: sono infatti
nata a Pola, ma poi mi sono presto trasferita a Trieste, e, quando era
ancora molto piccola, a dodici anni, sono emigrata con la mia famiglia
negli Stati Uniti: il classico percorso di emigrazione dei giuliani-istriani.
Come è nato il
suo interesse per la cucina italiana?
Si può dire che questa
era una mia passione fin dall’infanzia: mia nonna aveva infatti una piccola
trattoria, e mia zia era una cuoca, organizzava banchetti, quindi, fin
da giovanissima, ho iniziato ad essere coinvolta in questo passatempo,
cominciavo a cucinare i miei primi gnocchi, le mie prime pastasciutte,
e tutto ciò mi piaceva già moltissimo. In un certo senso
si può dire che abbia cercato di mantenere il legame con le mie
origini attraverso il cibo: ormai vivevo all’estero, e mi sentivo comunque
americana, però allo stesso tempo avevo molta nostalgia per la mia
cultura italiana, e quindi la cucina mi è servita per tenere vivi
i ricordi della mia infanzia, dei miei amici, della mia terra, del legame
con mia nonna.
Libri di cucina, programmi
televisivi, ristoranti, una linea di prodotti per la cucina: lei è
riuscita a creare un vero e proprio impero intorno alla cucina italiana.
Ma come ha fatto a far penetrare con tale forza la cultura culinaria delle
sue origini negli Stati Uniti?
Devo dire che la cucina
italiana negli Stati Uniti si fa strada da se stessa: è la cucina
etnica numero uno per popolarità. Gli Americani amano tutto ciò
che è italiano, ma in particolare modo la cucina. Tutto ciò
è nato semplicemente grazie alla mia passione, e alla mia intenzione
di fondere insieme la mia cultura e la cultura americana, così come
far capire ai miei amici americani le mie origini. E visto che la cucina
era ciò che conoscevo meglio dell’Italia, questo mi è sembrato
il mezzo ideale per diffondere le mie tradizioni. Con il tempo, da semplice
passione, si è trasformata in una cosa che funzionava anche finanziariamente,
e quando una cosa funziona, cresce sempre di più, si amplia sempre
di più, e così a 24 anni – giovanissima quindi - ho aperto
il mio primo ristorante. Allora non ero assolutamente una “businesswoman”,
quindi il tutto ha preso il via più che altro per caso, grazie alla
mia passione e al mio entusiasmo; ma via via questo mio primo ristorante
ha incominciato ad essere sempre pieno di clienti ed elogiato da giornalisti,
e così questa spinta iniziale mi ha permesso di andare sempre più
avanti, di dare sempre di più, e ho iniziato a rivolgere anche i
miei studi a questo ambito: all’inizio infatti studiavo biologia, ma poi
mi sono diretta verso la scienza del cibo, verso l’antropologia del cibo.
Ancora oggi continuo a studiare e ad informarmi, ma soprattutto a fare
continui viaggi in Italia, per riconfermare le mie conoscenze, ma anche
acquisirne di nuove, e riportarle negli Stati Uniti.
Lei spesso, nei suoi libri
come alla televisione, parla di “Italian-American Kitchen”: questo significa
che la sua cucina è una sorta di “riadattamento” della cucina italiana
per un pubblico americano?
No, il cibo “italo-americano”
è un cibo culturalmente italiano. Quando io ho iniziato, nel ‘71,
in America non si conosceva ancora la vera cucina italiana, ma soprattutto
mancavano gli autentici prodotti italiani, dal riso arboreo al carnaroli,
alla polenta. Dunque nel mio prima ristorante, ho assunto uno chef italoamericano
e io stessa ho lavorato con lui per 10 anni, assistendolo e imparando la
professione, e cucinando quindi i piatti di questa cucina “Italian-American”;
nel frattempo, però, ho iniziato ad inserire nei menù i piatti
che mangiavo a casa - anche più strettamente legati al Friuli Venezia-
Giulia, alla mia cucina - e la gente incominciava a conoscerli, a richiederli,
anche perché li consideravano una cosa nuova. Man mano che i prodotti
originali italiani arrivavano negli Stati Uniti, io proponevo sempre più
la vera cucina italiana, e questo mi ha permesso di farmi conoscere e apprezzare,
al punto che nel 1981 avevamo già due ristoranti - entrambi però
in periferia – e abbiamo deciso di aprirne uno in centro, a New York, e
così è nato anche il Felidia. Allora, avendo ormai alle spalle
dieci anni di insegnamenti, io stessa mi sono messa dietro ai fornelli,
e ho iniziato a proporre esclusivamente la cucina italiana, come si dice
nel nostro dialetto “come Dio comanda” – del resto la cosa era anche più
semplice per il fatto che i prodotti italiani si trovavano con maggiore
facilità e quindi potevo usare per i miei piatti il vero olio italiano,
il Parmigiano Reggiano, il prosciutto di Parma, il pomodoro San Marzano,
e così via: i prodotti sono infatti la cosa essenziale per ricreare
i veri sapori italiani!
Oggi abbiamo 3 ristoranti
a New York – il Felidia, il Becco e l’Esca – e poi i “Lidia’s” di Kansas
City e di Pittsburgh.
Oltre ai suoi ristoranti,
so che anche i suoi libri e i programmi televisivi che la vedono protagonista
sono sempre un successo…
Effettivamente il mio ultimo
libro ha venduto, nel giro di due mesi, 125.000 copie. E qui io parlo appunto
della cucina Italo-Americana, di come essa faccia parte dell’America, e
di come, in un certo senso, sia evoluta e stia crescendo con gli
emigranti.
Per quanto riguarda i miei
programmi di cucina, essi sono molto visti e apprezzati non solo negli
Stati Uniti, ma anche in Canada, Australia, e persino Giappone e Sud Africa.
E chissà che non possano arrivare in Italia!
Qual è oggi il
suo legame con l’Italia?
Io torno spessissimo in
Italia, anche 5 o 6 volte all’anno, sia per rivedere gli amici, sia per
occuparmi della gestione dell’azienda vitivinicola che io e mio figlio
possediamo vicino a Udine – tra l’altro, recentemente premiata dal Gambero
Rosso con i “tre bicchieri”. Inoltre mia figlia è sposata con un
romano, e lei stessa è una grande appassionata di cultura italiana:
si è infatti laureata ad Oxford in Storia dell’arte rinascimentale,
e gestisce una particolare agenzia di viaggi, che organizza itinerari in
Italia tra cibo, vino e arte. Dunque sia io che la mia famiglia siamo sempre
strettamente in contatto con l’Italia.
Per quanto riguarda invece
le associazioni italo-americane presenti negli Stati Uniti, ha rapporti
con esse?
Sono stata tra i fondatori
del Gruppo Ristoratori Italiani, oggi diretto da Tony May, ma, visti i
numerosissimi impegni che ho, non riesco più a seguire completamente
queste iniziative, anche se capita che ancora oggi collabori con loro.
Faccio anche parte dell’ORPI – Ordine Ristoratori Professionisti Italiani
– ma sono anche coinvolta in associazioni più propriamente americane:
per esempio ho fondato un’associazione dedicata alla donne chef, anche
perché ritengo che sia fondamentale riconnettersi alle proprie radici,
ma soprattutto ricongiungere le proprie tradizioni con gli Stati Uniti,
con il mondo in cui si vive.
Ha già in programma
nuovi progetti?
Nel prossimo mese di marzo
uscirà “Vino Italiano”, il primo libro scritto da mio figlio, ma
in cui si uniscono informazioni - anche molto tecniche e approfondite
- sul vino, e ricette da me realizzate. Inoltre, sempre a marzo, saremo
in Italia per un “press tour”, per presentare il libro – ma anche i vini
e la cucina - a giornalisti, ristoratori…
Inoltre sto collaborando
con mia figlia per un altro libro, in cui presenteremo particolari itinerari
italiani, comprendenti arte, mangiar bene, prodotti tipici e vini: l’Italia
non è infatti creativa solo in un solo ambito, ma nell’arte come
nel cibo, nella musica, nella moda. E queste cose sono strettamente collegate
fra di loro.