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Cerimonie olimpiche: un baraccone di stereotipi 
(lettera dall'Australia)
- Italians di Beppe Severgnini - 1 Marzo 2002

Certamente, alla cerimonia di chiusura di Salt Lake, non e' bastato soltanto esserci, essere "visibili". Ci voleva un po' piu' di fantasia per presentare un'Italia diversa dai soliti stereotipi. Invece i Torinesi ci sono cascati in pieno (e poi ci lamentiamo con i nostri amici It.Am. perche' sono attaccati ad un'immagine dell'Italia che non esiste piu' da 50 aut 70 anni...). La persona che ha scritto a Severgnini ha pienamente ragione; soprattutto quando sostiene che occorre far conoscere zone italiane finora poco conosciute fuori d'Europa. E' un po' quello che si cerca di sostenere con i "smart" sister-cities agreements; pero' quanta fatica costa cercare di collegare citta' e gruppi di persone che ai due lati dell'oceano si ignorano reciprocamente (e che forse vivono bene ugualmente?).  EG

Cari Italians, 

   ho appena assistito in Tv alla cerimonia di chiusura delle Olimpiadi invernali di Salt Lake City. Queste cerimonie sono diventate delle enormi produzioni teatrali che cercano di spiegare al mondo tutto del paese ospitante. Posso perdonare l'Australia. Dopotutto nessuno sa niente di noi e forse un po' di storia australiana non andava male, anche se molte sceneggiature subito riconoscibili agli australiani penso sarebbero state completamente oscure al resto del mondo. 

   Nonostante questo non è servito a molto, dato che in un articolo sul "Corriere" il giornalista aveva accusato che gli aborigeni nella cerimonia d'apertura erano "falsi" perché non sembravano abbastanza "neri", cosa che avrebbe offeso quella comunità che proveniva dall'entroterra australiano, dato che alcuni forse avevano un genitore o nonno bianco, ma sicuramente si sentivano parte della cultura aborigena. 

   Comunque temo che Torino 2006 possa cadere nella stessa trappola di fare vedere al modo quello che il mondo vuole vedere dell'Italia. Irene Grandi che canta "Nel blu dipinto di blu", i pattinatori con il tricolore, l'inno di Mameli in chiave jazz, la sfilata di moda, gli sbandieratori con "O sole mio": quanti luoghi comuni possiamo mettere? No, l'Italia può fare di più. 
Dimenticherei l'Italia versione "Cinema Paradiso" e invece suggerirei di fare una cerimonia diversa, che si concentri sullo sport, oppure se si vuole sulla città di Torino o sul Piemonte. Zone italiane che a quanto mi pare (a parte la Fiat) sono conosciute poco all'estero, specialmente fuori dell'Europa. 

   L'Italia ha tanti difetti, ma la mancanza di sofisticazione non è uno di quelli. Facciamo vedere un'Italia vera, non un'immagine ripresa dai film di Hollywood degli anni '50. 

  Saluti australiani,

  Guido Tresoldi, pengweed@alphalink.com.au