(9colonne) ROMA - I
ristoranti che, all'estero, si propongono alla clientela come "italiani"
sono oltre 56.000 e sono sparsi per i cinque Continenti. E' questa la radiografia
di un settore che ha una valenza economica enorme, legata anche al fatto
che ormai la tradizione gastronomica italiana (e per essa la "dieta mediterranea",
ormai universalmente riconosciuta come simbolo di una alimentazione corretta
ed equilibrata) è apprezzata in tutto il mondo. Ma quanti di questi
ristoranti possono fregiarsi del titolo di ristoranti veramente "italiani"?
La risposta sta nel fatto
che, a differenza della francese e della cinese (gli "involtini primavera"
sono pressoché eguali in tutto il mondo), quella di casa nostra
non ha una codificazione ufficiale, cioè i dettami che dovrebbe
seguire non fanno parte di nessun "regolamento". Così accade che
basta servire spaghetti o lasagne - cucinati non importa come - per potersi
proporre alla clientela fregiandosi di un (usurpato) titolo di italianità
gastronomica.
Cosa si fa e cosa si
potrebbe fare per fronteggiare questa incontrollata proliferazione di ristoranti
che, nei quattro angoli del mondo, dicono - ma non sempre fanno di servire
pietanze rigorosamente italiane sono moltissimi?
Il problema, di per sè,
è complesso e a complicarlo ancora di più sono i "grandi
numeri" legati alla ristorazione che, in tutto il modo, si rifà
o dice di rifarsi alla nostra tradizione. Una stima di Confcommercio dice
che di ristoranti italiani o "all'italiana" ve ne sono 15 mila tra Stati
Uniti e Canada; settemila in America Latina; 25 mila in Europa comunitaria;
tre mila e 500 nell' Europa dell'Est; mille in Africa, così come
in Australia; 300 in Medio Oriente; duemila in Cina e nel Sud Est asiatico;
duemila in Giappone.
Ora, quanti di questi
possono garantire che le loro pietanze sono veramente italiane o "all'italiana"?
La percentuale, dicono gli esperti, rischia di essere bassissima, perché,
si sottolinea, anche un piatto molto semplice, quale ad esempio gli spaghetti
al pomodoro, rischia di essere diverso - per cottura, per scelta dei condimenti
- a seconda delle latitudini e di chi lo cucina.
Contro questa proliferazione
incontrollata di ristoranti italiani (al di là delle singole cucine
regionali, che non possono essere ricondotte ad una "codificazione" di
carattere nazionale) il Ministero delle Politiche agricole e forestali,
di concerto con l'Associazione internazionale dei ristoranti d'Italia,
ha varato un progetto che intende attribuire solo a quei ristoranti che
offrono veramente piatti in linea con l'enogastronomia italiana l'etichetta
di vessilliferi della cucina "made in Italy".
Insomma, se in sede comunitaria
si vincono le battaglie contro i prodotti gastronomici contraffatti (come
il parmesan, "bieca" imitazione nordeuropea del parmigiano) ed altre si
stanno programmando, la guerra contro chi abusa del termine "cucina italiana"
rischia di essere lunga. Ma Confcommercio e Associazione internazionale
ristoranti d'Italia si dicono ottimisti, tanto che il loro progetto di
un marchio di autenticità dei locali italiani nel mondo e' già
realtà.