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Sono 56.000 i ristoranti italiani nel mondo  
MA SIAMO SICURI CHE TUTTI POSSANO FREGIARSI DEL TITOLO DI "VERA CUCINA ALL'ITALIANA"?
- 24 novembre 2002

 
   (9colonne) ROMA - I ristoranti che, all'estero, si propongono alla clientela come "italiani" sono oltre 56.000 e sono sparsi per i cinque Continenti. E' questa la radiografia di un settore che ha una valenza economica enorme, legata anche al fatto che ormai la tradizione gastronomica italiana (e per essa la "dieta mediterranea", ormai universalmente riconosciuta come simbolo di una alimentazione corretta ed equilibrata) è apprezzata in tutto il mondo. Ma quanti di questi ristoranti possono fregiarsi del titolo di ristoranti veramente "italiani"? 

   La risposta sta nel fatto che, a differenza della francese e della cinese (gli "involtini primavera" sono pressoché eguali in tutto il mondo), quella di casa nostra non ha una codificazione ufficiale, cioè i dettami che dovrebbe seguire non fanno parte di nessun "regolamento". Così accade che basta servire spaghetti o lasagne - cucinati non importa come - per potersi proporre alla clientela fregiandosi di un (usurpato) titolo di italianità gastronomica. 

   Cosa si fa e cosa si potrebbe fare per fronteggiare questa incontrollata proliferazione di ristoranti che, nei quattro angoli del mondo, dicono - ma non sempre fanno di servire pietanze rigorosamente italiane sono moltissimi?

   Il problema, di per sè, è complesso e a complicarlo ancora di più sono i "grandi numeri" legati alla ristorazione che, in tutto il modo, si rifà o dice di rifarsi alla nostra tradizione. Una stima di Confcommercio dice che di ristoranti italiani o "all'italiana" ve ne sono 15 mila tra Stati Uniti e Canada; settemila in America Latina; 25 mila in Europa comunitaria; tre mila e 500 nell' Europa dell'Est; mille in Africa, così come in Australia; 300 in Medio Oriente; duemila in Cina e nel Sud Est asiatico; duemila in Giappone. 

   Ora, quanti di questi possono garantire che le loro pietanze sono veramente italiane o "all'italiana"? La percentuale, dicono gli esperti, rischia di essere bassissima, perché, si sottolinea, anche un piatto molto semplice, quale ad esempio gli spaghetti al pomodoro, rischia di essere diverso - per cottura, per scelta dei condimenti - a seconda delle latitudini e di chi lo cucina. 

   Contro questa proliferazione incontrollata di ristoranti italiani (al di là delle singole cucine regionali, che non possono essere ricondotte ad una "codificazione" di carattere nazionale) il Ministero delle Politiche agricole e forestali, di concerto con l'Associazione internazionale dei ristoranti d'Italia, ha varato un progetto che intende attribuire solo a quei ristoranti che offrono veramente piatti in linea con l'enogastronomia italiana l'etichetta di vessilliferi della cucina "made in Italy". 

   Insomma, se in sede comunitaria si vincono le battaglie contro i prodotti gastronomici contraffatti (come il parmesan, "bieca" imitazione nordeuropea del parmigiano) ed altre si stanno programmando, la guerra contro chi abusa del termine "cucina italiana" rischia di essere lunga. Ma Confcommercio e Associazione internazionale ristoranti d'Italia si dicono ottimisti, tanto che il loro progetto di un marchio di autenticità dei locali italiani nel mondo e' già realtà.