di Luisa Gabbiani Flynn |
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Durante il Paleolitico superiore (da 36.000 a 10.000 anni fa) il Neandertal fu succeduto dall’Homo Sapiens Sapiens durante l’ultima fase della glaciazione würmiana. I ritrovamenti di questo periodo includono molte tombe, ossa di animali, e strumenti in pietra più differenziati. E’ durante questo periodo che incomincia ad apparire l’arte rupestre (graffiti nelle cave del Monte Pellegrino e Levanzo in Sicilia, nella grotta Romanelli sulla costa del Salento e nei Balzi Rossi in Liguria) e piccole sculture, come le statuette di Savignano e Chiozza di Scandiano in Emilia e la Venere dei Balzi Rossi. Durante il periodo Mesolitico (10.000 - 6.000 A.C.), il
clima continuò a diventare più mite. Questo periodo
è caratterizzato da utensili microlitici, da selci a forma di spicchio
d’arancia, da ciottoli colorati e decorati con motivi geometrici. Tracce
di questo periodo sono state ritrovate ai Balzi Rossi, alle Arene Candide,
sui Colli Berici, a Capri e a Positano.
Qui sono stati trovati fibule, pugnali, asce e rasoi in bronzo oltre a sepolcreti a incinerazione. La cultura Appenninica fiorì invece lungo il dorsale degli Appennini e fu pastorale nella fase più antica e agricolo-pastorale in quella più recente. Tipica la ceramica a forme globulari carenate con incisioni riempite di incrostazioni. Tra i prodotti metallici si notano pugnali a lama triangolare, armi, fibule, spade e monili di bronzo e ambra. Durante l’Età del bronzo furono costruite le castelliere, insediamenti con mura protettive situati di solito su alture di accesso difficile e trovati specialmente in Istria. Un altro esempio delle strutture di carattere sociale di questo periodo sono i nuraghi sardi, costruzioni megalitiche tuttora esistenti. All’età del bronzo segue l’Età del ferro, che in Italia inizia verso il principio del primo millenio A.C., mentre in alcuni paesi del Medio e Vicino Oriente e dell’Africa settentrionale aveva cominciato verso la fine del millenio precedente. Tra le più importanti culture dell’età del ferro sono la cultura Atestina (Este e Alto Adige), di Golasecca (Varese) e il Villanoviano, cultura caratterizzata da vaste necropoli a incinerazione ricche di urne biconiche con corredi funebri talvolta finemente decorati. E’ probabile che queste fossero popolazioni provenienti dall’Europa orientale che si erano stanziate nel centro Italia. Secondo alcuni storici, da questa cultura più tardi si svilupperà la civiltà etrusca. Le antiche popolazioni italiche E’ durante l’Età del ferro che la popolazione della penisola esce dalla preistoria ed entra nella storia. Al principio del primo millenio A.C., in Italia si trovano le seguenti popolazioni: i liguri, sulla costa che ne porta ancora il nome e nelle valli appenniniche del nord; i sicani, nell’interno della Sicilia; gli italici in Calabria; i terramare in Padania; i villanova nell’Italia centrale; gli umbri nell’odierna Umbria; i veneti nel Veneto e i messapi e gli iapigi in Puglia, che probabilmente venivano dall’Illiria (l’odierna Bulgheria). Altri gruppi dell’Italia centrale e meridionale furono creati dall’unione di gente locale con gente che proveniva da altre regioni. Questi furono i sabini, latini, falisci, equi, volsci, ernici e ausoni, che si insediarono nel Lazio; i vestini, peligni e marsi che dominarono l’interno dell’Abruzzo; i picenti, marrucini, e frentani che popolarono la zona adriatica centrale. Il Molise fu popolato dai sanniti e la Basilicata dai lucani, mentre la Calabria fu popolata anche dai bruzi e la Sicilia dai siculi. Durante questo periodo in Italia ci furono contatti sempre più
frequenti con i fenici, presenti specialmente in Sardegna e nella
Sicilia orientale, e con i greci, insediati nell’Italia meridionale.
La colonizzazione fenicia della costa del Mediterraneo occidentale fu limitata
alla Sardegna e alla parte ovest della Sicilia, con colonie puniche a Trapani,
Palermo e Cagliari, città collegate all’antica colonia fenicia di
Cartagine.
I Greci e gli Etruschi I greci arrivarono in Italia nell’ottavo secolo A.C. da Eubea, Argolide,
Locride, Creta e le isole Egee. Si stabilirono sulle coste meridionali,
dalla Campania all’Apulia, e nel sud ed est della Sicilia dove fondarono
colonie prosperose quasi sempre basate sull’agricoltura e il commercio.
A volte si allearono tra di loro per combattere nemici comuni ma più
spesso furono divisi da rivalità di natura politica. Il termine
Magna
Grecia dato a queste colonie si riferisce alla popolazione e civiltà,
non a un’entità politica.
I Greci. Tra i primi a sistemarsi sulle coste italiane furono gli Achei,
di origine Dorica, che fondarono Taranto, Metaponto, Posidonia (Paestum)
e Sibari. Dopo di loro arrivarono i Locri e i Calcedoni
da
Euboea, che fondarono Naxos (Taormina), Zancle (Messina), Pitecusa (Ischia),
e Cuma in Campania. I Corinzi fondarono Siracusa, i Megari
Megara Iblea nel golfo di Augusta, e i Foci Elea (Velia) in Campania.
Gli Etruschi. Il primo storico che accenna agli Etruschi è Erodoto, nel V secolo A.C. In una pagina delle sue Storie egli allude alla loro origine orientale, confermata più tardi anche dallo storico Ellanico. Ma già nel I mo secolo A.C sorse una seconda tesi, secondo la quale le origini etniche di questa popolazione sarebbero da ricercarsi nell’immenso crogiolo di razze e di popoli della preistoria italiana, il che è comprovato anche da studi recenti. Poiché erano una grande potenza marinara ed ebbero relazioni con tutti i grandi paesi del Mediterraneo, nell’elaborazione della loro civiltà gli Etruschi assimilarono elementi diversi, tra cui italici, siro-egizi e greci. Politicamente erano organizzati in città-stato (lucomonie) riunite in una confederazione a carattere prevalentemente religioso comprendente dodoci città: Volterra, Arezzo, Perugia, Cortona, Chiusi, Volsini, Populonia, Vetulonia, Vulci, Veio, Cere e Tarquinia. Il potere era detenuto per diritto ereditario dagli aristocratici. Gli Etruschi bonificarono la Maremma, svilupparono una fiorente industria e attivissimi commerci. Appresa dai Fenici e dai Greci l’arte della navigazione, spartirono con i Cartaginesi il dominio del Tirreno. Nel periodo della loro maggiore potenza raggiunsero a nord la pianura padana, ove fondarono Felsina (Bologna), Marzabotto, Adria, e il porto di Spina; a sud conquistarono Roma, spingendosi fino al golfo di Salerno dove incontrarono la resistenza dei Sabini e dei Greci. Un altro mistero che circonda questo popolo è la loro lingua:
infatti, benché usassero i caratteri greci, non si sa ancora quale
lingua parlassero. L’interpretazione dei loro testi è tuttora
inattuata per l’assenza di esemplari bilingui e la brevità dei loro
testi epigrafici.
Le tombe dipinte, le necropoli rupestri, le statue dal sorriso enigmatico, i manufatti preziosamente ornati hanno da sempre ispirato interesse per questo popolo che alla religione superstiziosa affiancava una straordinaria gioia di vivere e che alla conservazione delle antiche tradizioni contrapponeva una sconcertante liberalità, sopprattutto in rapporto alla posizione della donna nella società. La comparsa della civiltà etrusca risale al secolo VIII A.C.,
quando Roma era ancora un piccolo villaggio di capanne sul Tevere e la
Grecia iniziava la colonizzazione dell’Italia meridionale. Finì
nel primo secolo A.C. sotto l’imperatore Ottaviano, conquistata e distrutta
dai romani.
I Romani. Già durante l’età del rame, la zona dei colli Albani, a sud della foce del Tevere, era abitata dai Latini, una popolazione italica addetta all’agricoltura e alla pastorizia. E’ probabile che si deva a loro la fondazione di Roma verso la metà dell’ottavo secolo A.C. sopra il Palatino, uno dei colli che si elevavano sopra le paludi che circondavano il fiume Tiber (Tevere). La città e il territorio occupato dai Latini si estese gradualmente durante il periodo della monarchia (753-510 A.C.) sotto i sette re di Roma: Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo, dei quali gli ultimi tre furono Etruschi. Oltre all’agricoltura e alla pastorizia, durante questo periodo l’organizzazione giuridica e sociale di Roma continuò ad evolversi con l’influenza della vicina civiltà etrusca. Verso la fine del sesto secolo A.C., il territorio romano del Lazio si estendeva su 2000 kilometri quadrati. L’economia ora includeva il commercio, favorito dalla posizione geografica di Roma tra la Magna Grecia e l’Etruria e dalla vicinanza della foce del fiume Tevere, che non solo forniva un porto di importanza sempre maggiore, ma anche importanti depositi di sale. Secondo la leggenda, Roma fu fondata da Romolo e Remo, i gemelli discendenti dall’eroe troiano Enea, figlio della dea Venere. Con l’aiuto della madre, Enea riuscì a fuggire da Troia con il padre e il figlioletto e approdò sulla costa italica, dove sposò Lavinia, la figlia di un re locale. Pare che Roma sia sorta tra il X e VIII secolo A.C. dall’unione di più comunità partecipanti alla lega religiosa latina che aveva il suo centro nel santuario di Giove Laziale. Vinta la rivale Alba Longa e ottenuta la supremazia sulle città laziali, Roma fu a sua volta sottoposta alla dominazione etrusca durante il regno degli ultimi tre re, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. E pare che fosse proprio il regno dei re etruschi a provocare la caduta della monarchia; infatti Servio Tullio, dopo aver modificato l’antica divisione delle tribù del patriziato (i Ramnenses, i Titienses e i Luceres), divise tutta la popolazione, compresi i plebei, in cinque classi e istituì i comizi centuriati. Alla reazione del patriziato sarebbero dovute la caduta della monarchia e la costituzione di una repubblica patrizia governata da due consoli elettivi nel 510 A.C. La crisi della monarchia coincise con la crisi della potenza etrusca e con l’indebolimento della stessa Roma nei confronti delle popolazioni latine che erano riuscite a rendersi indipendenti dagli etruschi. Lo stato di tensione tra Roma e la federazione latina ebbe termine nel 493 col foedus Cassianum. Successivamente Roma lottò contro l’etrusca Veio, vinta dal dittatore Furio Camillo nel 396 e prevalse contro i Galli, che nel 390 attraversarono la valle padana, valicarono gli Appennini e arrivarono fino a Roma. Dopo l’invasione dei Galli, Etruschi, Equi ed Ernici minacciarono di nuovo la città ma furono sconfitti dopo quasi 40 anni di guerre, al termine delle quali Roma riaffermò la propria egemonia sul Lazio. Durante tutto questo periodo, alla pressione dei nemici esterni si accompagnarono le lotte intestine tra patrizi e plebei, miranti, questi ultimi, a conquistare la garanzia di una legislazione scritta. La secessione plebea, avvenuta nel 494 A.C., portò alla costituzione dei tribuni della plebe, cui seguì la stesura delle Leggi delle XII Tavole. I contrasti tra le due classi continuarono però per tutto il V e il IV secolo A.C., durante i quali i plebei ottennero l’accesso al senato, alla dittatura, alla censura e alla pretura, nonché ai collegi degli àuguri e dei pontefici. Grazie alle leggi Licinie-Sestie (336 A.C.) anche il consolato cessò di essere appannaggio esclusivo dei patrizi. Durante la seconda metà del IV secolo A.C., Roma combatté
contro i Sanniti, una popolazione che degli Appennini meridionali era discesa
nelle fertili pianure della Campania e aveva conquistato Capua e Cuma.
Benché nel 354 i Romani avessero formato un’alleanza con i Sanniti
per sconfiggere i Lucani, che avevano occupato la ricca città di
Paestum, il conflitto contro i Sanniti per ottenere la supremazia della
Campania divenne inevitabile e durò mezzo secolo, dal 343 al 290
A.C. La guerra si svolse in tre fasi distinte, caratterizzate da
vittorie e sconfitte da ambo le parti. Tra le più famose,
è la sconfitta romana alle Forche Caudine nel 321 e la vittoria
a Sentino nel 295 contro una coalizione di Etruschi, Senoni e Galli.
La guerra finì con la vittoria di Roma, che estese il suo territorio
fino alla Lucania.
Dopo aver così consolidato la loro supremazia nell’Italia Centrale, i Romani si accinsero a estenderla sul resto della penisola in una guerra contro Taranto che durò 10 anni, dal 282 al 272. Taranto era alleata a Pirro, re dell’Epiro, il quale sconfisse i Romani in diverse battaglie ma fu definitivamente vinto a Benevento nel 275. (Pirro, pur sconfiggendo ripetutamente i Romani, vide semidistrutto il suo esercito; da cui il nome Vittoria di Pirro, detto di successo che procura più danni che vantaggi, con allusione alla vittoria che Pirro riportò a Eraclea (280 A.C.) contro i Romani..) Dopo che Taranto fu sottomessa, la stessa sorte toccò poco dopo a Reggio e alle popolazioni degli Bruzzii, dei Lucani, dei Piceni, degli Umbri e degli Iapigi, che furono incorporate nella federazione romano-italica. Alla fine del III secolo i domini romani si estendevano fino alla Sicilia, parzialmente controllata da Cartagine. Roma aveva raggiunto la supremazia totale della penisola italica e stabilito un sistema di alleanze tra il territorio di Roma (città e colonie che godevano intera o parziale (civitates sine suffragio) cittadinanza romana) e i territory che, pur essendo indipendenti, riconoscevano l’autorità di Roma su una confederazione che copriva circa 130.000 kilometri quadrati ed era equipaggiata da più di mezzo milione di soldati. L’economia di questa federazione fu solidificata dalla costruzione della
prima strada interna, la Via Appia (Roma-Capua-Benevento, costruita dal
312 al 268) e dallo sviluppo dell’industria mercantile. Nello stesso
tempo il sistema monetario fu esteso con la coniatura di monete di bronzo
e d’argento.
Roma e Cartagine. Per più di due secoli le relazioni fra Roma e Cartagine erano rimaste amichevoli; infatti un primo trattato di amicizia tra le due potenze, riferito da Polibio al 509 A.C., costituisce il più antico documento sulle relazioni internazionali di Roma. Nel 306, i rapporti furono rinforzati dalla reciproca accettazione della supremazia di Roma sull’Italia e di Cartagine sulla Sicilia e più tardi, nel 278, fu stipulata una nuova alleanza militare con Pirro. Ma compiuta l'unità della penisola, Roma era ora spinta verso il mare per cercarvi la sicurezza e il fondamento della sua potenza. Era venuto il momento in cui la conquista della Magna Grecia doveva essere completata dalla conquista della Sicilia anche a costo di una guerra contro Cartagine. I Cartaginesi, dediti quasi esclusivamente ai commerci e all'espansione
coloniale, possedevano una potenza navale di prim'ordine, forte e sperimentata,
ma un esercito di terra formato da elementi mercenari. Roma era invece
una forte e sperimentata potenza militare fondata essenzialmente sull'agricoltura
e sulla proprietà terriera dei suoi cittadini, pronti a difendere
la patria. Questa differenza fra i due grandi antagonisti ci fa capire
le profonde ragioni del trionfo finale di Roma.
Le guerre puniche La prima guerra punica (264-241 A.C.)
I Romani, che in realtà conoscevano da tempo l'arte navale, poterono provvedere alla rapida costruzione della flotta perché padroni dell'Etruria e delle città greche dell'Italia Meridionale, da cui potevano ottenere navi, marinai e rematori. Una prima flotta, al comando del console Gaio Duilio, presso il promontorio di Mibe (Milazzo) riportò una grande vittoria navale sulla flotta cartaginese, stimata quasi invincibile. La vittoria fu in gran parte dovuta al sistema di ponti a uncini (corvi) per l'abbordaggio, che permetteva di trasformare la battaglia navale in tanti piccoli combattimenti di fanti a corpo a corpo, in cui i Romani erano assai superiori al nemico. Nell'anno 256, una nuova poderosa flotta sotto il comando dei
consoli Attilio Regolo e Manlio Vulsone, sbaragliata la flotta cartaginese
al Capo Ecnomo presso Licata, sbarcò l'esercito in Africa ma fu
sconfitto. Fallito il tentativo africano, la Sicilia rimase il teatro
della guerra dal 255 al 242, gli anni più difficili. Nel 241,
dopo una disastrosa battaglia navale, Cartagine chiese e ottenne la pace
rinunciando al possesso della Sicilia e a far guerre senza il consenso
romano.
La seconda guerra punica (218-202 A.C.) Dopo la sconfitta, Cartagine cercò nella penisola iberica un compenso alla perdita della Sicilia con l’assedio di Sagunto, una città alleata di Roma. I Romani intimarono ai Cartaginesi di abbandonare l’assedio della città e al loro rifiuto cominciarono le ostilità. Annibale lasciò il fratello Asdrubale al comando dell’esercito nella penisola iberica e intraprese la marcia memorabile dalla Spagna alla Valle Padana attraverso i Pirenei, la valle del Rodano e le Alpi. Racconta lo storico Tito Livio che Annibale disponeva di un esercito formidabile che includeva ventun elefanti, novantamila fanti e dodicimila cavalieri. In principio Annibale riuscì a vincere le battaglie del Ticino, della Trebbia e del Trasimeno, ma nessuna città umbra o etrusca di unì al suo esercito. Roma, per uscire da questa situazione difficile, nominò dittatore Fabio Massimo, che, per la sua tattica di indebolire il nemico senza venire a battaglia campale, fu chiamato cunctator, il temporeggiatore. Dopo aver subìto una grave sconfitta a Canne, i Romani riportarono una vittoria decisiva a Zama sotto il comando di Scipione, a cui fu dato il titolo di il titolo di Africano. Dopo la sconfitta di Cartagine, Roma, divenne una potenza mediterranea.
Nel 146 A.C. la Macedonia e la Grecia divennero province romane e Cartagine
fu definitivamente distrutta.
La Terza Guerra Punica (146 A.C.) Massinissa, re di Numidia, abusava Cartagine occupando i suoi territori, ma le proteste di Cartagine non venivano ascoltate dai Romani. Quando Cartagine dichiarò guerra a Massinissa, rompendo così il trattato romano-cartaginese stipulato alla fine della seconda guerra punica, i Romani ebbero il pretesto per dichiarare la guerra contro Cartagine. La città resistette all’assedio romano per circa tre anni, ma alla fine fu incendiata e completamente distrutta da Lucio Scipione Emiliano e il suo territorio fu annesso allo Stato Romano con il nome di Provincia d’Africa. Al sorgere del I secolo A.C., i territori romani comprendevano l’Italia,
la Gallia Cisalpina, l’Istria, la Dalmazia, la Sicilia, la Sardegna, la
Corsica, la Spagna,, la Macedonia, e vasti territori in Africa e Asia.
Le lotte sociali Il periodo che segue le guerre puniche è caratterizzato da vari fermenti sociali. Innanzitutto l’impoverimento dei contadini e la conseguente disponibilità di terreni a basso prezzo avevano creato un’economia basata sul latifondo, dovuta anche al maggior numero di schiavi disponibili, frutto delle conquiste militari. Questo aveva portato ad una delle questioni più pressanti degli anni che seguirono le guerre puniche, la riforma agraria, richiesta dalla plebe impoverita. Un altro motivo di discordia era il diritto di cittadinanza, quest’ultimo richiesto dalle popolazioni italiche alleate dei Romani che, non avendo il diritto alla cittadinanza, erano escluse dalla spartizione del bottino di guerra. Nel frattempo era sorta a Roma una nuova classe sociale (equites o cavalieri), costituita da mercanti e appaltatori, che per ottenere un potere politico si alleò con la plebe che si batteva per la riforma agraria. Il loro portavoce era Tiberio Sempronio Gracco, un aristocratico eletto tribuno della plebe, che nel 133 A.C. propose una legge per confiscare tutti i possedimenti abusivi di agro pubblico e limitare l'estensione di quelli legittimi a 500 iugeri, aumentabili fino a 1000 per chi avesse uno o più figli. I terreni confiscati avrebbero dovuto essere distribuiti ai cittadini poveri, che non avrebbero potuto venderli ad altri. Ma il suo progetto di legge incontrò l’opposizione dell’aristocrazia senatoria e nel 123 Tiberio fu assassinato nel corso di un tumulto insieme ai suoi 330 partigiani. Nello stesso anno fu eletto tribuno suo fratello Caio Gracco,
che presentò un complesso di leggi che riprendevano la politica
del fratello collegandola alla politica favorevole agli Italici.
Di mente aperta e grande oratore, da vero rivoluzionario Caio Gracco seppe
elevarsi dal problema dell'agro pubblico a una totale riforma dello Stato
romano in senso democratico, con la legge frumentaria; la riconferma della
legge agraria; la creazione di colonie; l'assegnazione ai cavalieri di
un numero preponderante nelle giurie che dovevano giudicare le cause di
corruzione (de repetundis) contro i governatori delle province;
e la concessione della cittadinanza romana ai Latini e del diritto latino
agli altri Italici. La reazione suscitata dalle sue proposte portò
alla costituzione di bande armate e alla promulgazione da parte del Senato
dello stato d'assedio. In uno scontro i Gracchi furono battuti e
Caio si fece uccidere da uno schiavo. L'oligarchia senatoria, combattendo
le leggi agrarie, aveva così preparato la trasformazione della Repubblica
in Impero e la propria rovina.
Mario e Silla La vittoria aristocratica fu di breve durata. Le guerre contro
Giugurta (111-109) e contro i Cimbri e i Teutoni (102-101) avevano portato
l’ascesa del democratico Gaio Mario, che aveva come aiutante Lucio
Cornelio Silla, il suo futuro avversario. Rieletto console nel
104 A.C., Mario riformò radicalmente la struttura della legione
romana e introdusse un’innovazione di grande importanza destinata a portare
nella storia di Roma le più imprevedute conseguenze: la trasformazione
dell’esercito da milizia cittadina a esercito professionale stipendiato
e partecipe ai bottini di guerra. Da allora le armate romane divennero
lo strumento di potere dei loro generali, accelerando il processo di dissoluzione
delle istituzioni repubblicane.
Nel frattempo la situazione fu complicata dal vecchio problema degli Italici, a cui il governo romano chiedeva soltanto sacrifici finanziari e militari e obbedienza alle decisioni di Roma. Nell’anno 90 gli Italici formarono una confederazione con sede a Corfinium, cui fu cambiato il nome in quello di Italia, e insorsero contro Roma. La lega dei ribelli aveva a capo due consoli e dodici pretori aiutati da un Senato di 500 membri. Alla fine Roma dovette cedere alle loro richieste con una serie di leggi: la legge Iulia concesse il diritto di cittadinanza agli alleati rimasti fedeli; la legge Plauzia Papiria estese la concessione a coloro che l’avessero richiesta entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge; il console Cneo Pompeo Strabone estese ai Transpadani la cittadinanza latina; e, nel 49 A.C., Cesare conferì loro la piena cittadinanza. Nell’anno 88 A.C. il Senato romano riuscì di nuovo a prevalere sulle forze democratiche e Mario fu costretto all’esilio. Ma l’anno seguente, approfittando dell’assenza di Silla che era impegnato nella guerra contro Mitridate, Mario si impadronì ancora una volta del potere. Eletto console per la settima volta, morì dopo soltanto due settimane di consolato il 14 gennaio dell’anno 86 A.C. Mentre a Roma spadroneggiava il console Lucio Cornelio Cinna, Silla costrinse Mitridate a venire a patti in Oriente (85 a. C.), e nell'83 sbarcò in Italia, dove incontrò l'ostilità degli Italici e dei seguaci di Mario. Li sconfisse nella battaglia di Porta Collina e, impadronitosi di Roma, si abbandonò a feroci rappresaglie (proscrizioni) di nemici, mentre Gneo Pompeo liquidava gli avanzi dei mariani in Sicilia e in Africa, ottenendo il titolo di Magno. Abbattuti gli avversari e fedele all'ideale di un governo della nobiltas romana, alla fine dell'82 Silla si fece nominare dittatore a tempo indeterminato con lo scopo di riordinare lo Stato. Esteriormente Silla mantenne il sistema repubblicano, ma in realtà promosse una serie di riforme che restaurarono il potere aristocratico ai danni dei cavalieri e della plebe. Il suo governo da una parte significava la distruzione delle forze avverse alla oligarchia e dall’altra rappresentava la restaurazione del Senato. Durante il biennio 81-80, Silla procedette rapidamante nell'opera di riforma, raddoppiando il numero dei Senatori, portati a 600; rendendo lenta la carriera delle magistrature; stabilendo a trent'anni l'età per la questura e quaranta per la pretura;, restituendo al Senato l'esame delle leggi da presentare ai comizi e il potere giudiziario per le cause di concussione e per quelle più importanti, come la lesa maestà, il peculato, la violenza, ecc. Il tribunato della plebe fu ridotto a magistratura di secondaria importanza
e il potere civile fu nettamente diviso da quello militare, stabilendo
che i consoli e i pretori in carica non potessero avere comandi militari.
Con queste riforme Silla credette esaurito il suo compito di riordinatore
dello Stato e nell'anno 79 a. C., deposta la dittatura, si ritirò
a vita privata nella sua villa a Pozzuoli, dove morì poco dopo.
In realtà il suo governo, basato sull'appoggio dell'esercito, aveva
aperto la strada al principato. Le sue riforme non furono durature
e finirono con aumentare l'importanza del fattore militare nella vita dello
Stato. Infatti quando Silla morì era già in atto la
rivolta di Sertorio, seguace di Mario, che aveva creato in Spagna
uno stato indipendente da Roma.
L’ascesa di Pompeo La situazione si aggravò con la lotta del Senato contro Emilio Lepido, che aveva tentato di abbattere la costituzione sillana. Contro di lui il Senato si giovò di Pompeo, giovane generale di Silla, al quale era stata affidata anche la guerra di Spagna contro Sertorio, vinta nell'anno 72 a. C. In quell'anno il Senato diede al pretore M. Licinio Crasso, padrone della fortuna più colossale di Roma, il comando della guerra contro gli schiavi capeggiati da Spartaco; ma, temendone l'eccessivo potere, gli affiancò Pompeo. Pompeo, di parte aristocratica, era però deciso a conquistare per sè un solido potere personale all’interno della repubblica. Dopo aver domata la rivolta degli schiavi nel 71, i due generali Pompeo e Crasso poterono imporre il loro volere a Roma nell'elezione dei consoli dell’anno 70 a.C. Pompeo e Crasso non avevano i requisiti legali per l'elezione
stabiliti dalla costituzione di Silla, tuttavia riuscirono ad ottenere
la nomina a consoli portando a Roma le loro legioni, il che segnò
la fine delle leggi sillane.
Frattanto in Asia Mitridate VI aveva ripreso le ostilità contro i Romani. Questa seconda guerra mitridatica fu vittoriosamente condotta da Lucullo, che in seguito venne sostituito da Pompeo. Pompeo sconfisse Mitridate e, dopo aver obbligato Tigrane, re d'Armenia a chieder la pace, rioccupò tutta l'Asia Minore e il regno del Ponto; passò quindi in Siria e, occupata la Palestina, riordinò le nuove province del Ponto e della Bitinia, della Siria, della Cilicia, e ritornò a Roma (62 a. C.). Durante l'assenza di Pompeo si era riaccesa vivissima nella capitale
la lotta fra oligarchici e democratici ed era mancato poco che il governo
senatorio fosse abbattuto da una congiura di cui era capo Lucio Sergio
Catilina, giovane e ambizioso patrizio. La congiura venne rivelata
a Cicerone, il quale attaccò Catilina in Senato costringendolo
a fuggire. Questi, recatosi in Etruria per suscitare la guerra civile,
fu ucciso in battaglia presso Pistoia (62 a. C.) mentre Cicerone fu chiamato
"padre della Patria".
Il primo triumvirato. La morte di Catilina e il ritorno di Pompeo dall'Asia sembrava avessero rinsaldato la posizione dell'oligarchia senatoria, ma Pompeo si trovò di fronte l'opposizione del Senato e due rivali: Crasso e Cesare. Tuttavia, spinto dall’atteggiamento dei Senatori che rifiutavano di concedere le terre ai veterani, Pompeo strinse un accordo di carattere privato che fu detto triumvirato, prima segreto e poi palese, per una spartizione amichevole delle forze militari e dei comandi nelle province. A Cesare fu assicurato il consolato per l'anno 59 a. C., Pompeo ebbe il governo della Spagna, Crasso il comando di una spedizione in Asia contro i Parti; Cesare ebbe inoltre il comando della Gallia Narbonese per cinque anni. L’attuazione dell'accordo avvenne con l'elezione di Cesare al consolato nel 59 a.C., durante il quale fece approvare la legge che assicurava la distribuzione di terre ai veterani di Pompeo. Ottenuto il comando militare nell’Italia settentrionale e in Gallia per cinque anni, Cesare riuscì a crearsi una fortissima base di potere. Sbarcò in Britannia negli anni 55 e 54 a.C., ma dovette desistere da questa impresa a causa della rivolta generale dei Galli sotto Vercingetorige (52 a.C.), un guerriero arverno di eccellenti qualità militari che Cesare costrinse a chiudersi in Alesia e a darsi prigioniero. Nel 51 a. C. la Gallia era sottomessa. Durante la guerra gallica a Roma non erano cessati i disordini e si avvertiva il bisogno di stabilire un maggiore equilibrio fra i triumviri, ma la morte di Crasso avvenuta nella battaglia di Carre contro i Parti nel 53 a.C., mise in crisi il Triumvirato. Il conflitto tra Cesare e Pompeo scoppiò nell'anno 50 a.C.: Pompeo voleva conseguire il primato a Roma con il consenso e la sanzione del Senato; Cesare, senza scrupoli costituzionali, mirava a un potere fondato sull'appoggio dell'esercito. A una dubbia decisione del Senato di sostituirlo nel comando della Gallia, Cesare, non avendo altra via che la ribellione per conservare il proprio potere, si oppose con la forza e nella notte del 10 gennaio dell'anno 49 a.C. varcò in armi il Rubicone (che segnava il confine fra l'Italia propria e la Gallia Cisalpina), occupò Rimini e avanzò su Roma, mentre Pompeo e il Senato fuggivano in Grecia. passando nell'Illiria e poi in Macedonia. La battaglia decisiva fu combattuta a Farsalo in Tessaglia. Pompeo, vinto, fuggì in Egitto dove Tolomeo XIV lo fece uccidere a tradimento (48 a. C.). Cesare, occupata l'Italia e le isole, passò in Egitto dove assegnò a Cleopatra il potere tolto a Tolomeo XIV e sconfisse in una rapida campagna Farnace, figlio di Mitridate. Nel 47 intraprese la campagna d'Africa che rapidamente concluse a Tapso nel 46 a.C. I superstiti seguaci di Pompeo fuggirono in Spagna dove furono sconfitti definitivamente nel 45 a. C. nella battaglia di Munda. Ormai padrone incontrastato di Roma, Cesare tornò in patria dove
fu nominato dittatore a vita. Pur rispettando formalmente l’autorità
del senato, Cesare mantenne per sè una serie di poteri che gli permisero
di riformare l’amministrazione dello stato e l’organizzazione delle province.
La Dittatura Padrone incontrastato di Roma, Giulio Cesare si accinse all’attuazione delle riforme per la sistemazione del dominio romano. Dalla battaglia di Munda nel marzo del 45 a.C. alle idi di marzo nel 44 a.C., Cesare ebbe soltanto un anno per attuare i suoi progetti di riforma. Lasciò alla plebe il diritto di nominare i tribuni e gli edili e di promulgare i plebisciti, ma tolse loro il diritto di associazione e abolì le corporazioni artigiane; eliminò gli abusi dei funzionari per mezzo della legge de repetundis; favorì l’elevazione graduale delle popolazioni italiche estendendo l’allargamento della cittadinanza ai Galli dell’Italia Transpadana; limitò il lusso; attuì un piano di colonizzazione in Italia e fuori Italia (ricostruendo Cartagine in Africa e Corinto in Grecia); agevolò il processo di romanizzazione delle regioni occidentali preferendo però che le province orientali mantenessero il loro carattere culturale greco. Durante la sua dittatura le province romane divennero diciotto, dieci in occidente (Sicilia, Sardegna, Corsica, Gallia Cisalpina, Illirico, Gallia Narborese, Gallia Comata, Spagna Citeriore, Spagna Ulteriore, Africa Vetus, Africa Nova) e otto in oriente (Macedonia, Acaia e Depiro, Creta, Asia, Bitinia e Ponto, Cilicia e Cipro, Siria, Cerenaica). Questi territori vennero distribuiti ai veterani e in essi vennero stabilite moltissime colonie militari. Giulio Cesare cambiò il corso della storia irrevocabilmente e definitivamente. Il suo nome, Cesare, è ancora vivo nel mondo cristiano e islamico dove viene usato come titolo per indicare il sovrano, l’imperatore, che è il significato della parola Kaiser in tedesco, tsar nelle lingue slave, e qaysar nelle lingue del mondo islamico. Oltre al suo nome è sopravvissuta anche la sua riforma del calendario. Cesare portò gennaio, agosto e dicembre a 31 giorni e aprile, giugno settembre e novembre a 30, formando così l’anno di 365 giorni, al quale veniva aggiunto un giorno ogni 4 anni (anno bisestile) Questo calendario è ancora in uso nel mondo occidentale, leggermente modificato dal papa Gregorio XIII e perciò detto calendario gregoriano. Cesare eccelse non soltanto come genio politico e militare ma come scrittore: i suoi discorsi, lettere e articoli vari sono andati persi; soltanto i suoi commentari di guerra sopravvivono: i Commentarii de bello Gallico, in 7 volumi, scritti nel 52-51 B.c. e i Commentarii de bello civili, in 3 volumi, scritti probabilmente nel 45 B.c. Il suo stile è coinciso, dinamico, efficace, come esemplificato dalla famosissima frase Veni, vidi, vicit. Ma forse la più straordinaria caratteristica di Cesare è la sua energia. Scriveva i suoi libri durante le guerre e le rivolte; attraversò le Alpi durante l’inverno; e fece viaggi lunghissimi: nel 49 marciò dal Rubicone a Brindisi e da Brindisi alla Spagna. La sua morte fu dovuta in parte alla sua magnanimità: implacabile
con i nemici barbari, Cesare era invece generoso con i nemici romani, a
cui era solito accordare l’amnistia. Sia Cassio che Bruto, difensori
della repubblica e i più importanti dei 60 congiurati, erano stati
suoi nemici e più tardi amnistiati. Ma tra i congiurati c’erano
anche molti dei suoi ex-seguaci, forse spinti dall’odio per la monarchia
oppure alienati dal suo carattere risoluto e di scarso tatto, tipico di
chi è abituato al comando sul campo di battaglia. Uccidendolo
ne fecero un martire e crearono la fortuna politica dei suoi successori.
Il secondo triumvirato. I congiurati credevano che l'uccisione di Cesare avrebbe provocato la rivolta popolare e restaurato automaticamente la repubblica, ma quando le loro speranze non si avverarono, si trovarono isolati e pieni di dubbi. Vedendo che il popolo restava muto e titubante, non osarono convocare il Senato e decisero di iniziare trattative con i due consoli che in quel momento tenevano in mano l’autorità dello Stato, le forze armate, il tesoro pubblico (700 milioni di sesterzi, conservato nel tempio di Opi) e i documenti e la cassa privata di Cesare. I due consoli erano Marco Antonio, che era stato amico di Cesare, e Marco Emilio Lepido. Nella seduta del Senato del 17 marzo, tra pareri diversi e contrastanti, il grande oratore Cicerone propose che il delitto avvenuto due giorni prima fosse del tutto dimenticato. Dichiarando che Cesare non era colpevole di aver aspirato al regno, accettò come valide le sue decisioni ma propose che non si dovesse procedere contro i congiurati. La proposta fu approvata. Le discussioni ripresero di lì a poco a proposito dei funerali, che fu deciso fossero a spese dello Stato. Fu allora che Antonio prese al parola e comunicò al popolo il testamento di Cesare. Nel testamento, modificato da Antonio per sollevare l’opinione pubblica contro i congiurati, Cesare adottava il nipote Gaio Ottavio e lo dichiarava erede di tre quarti del suo patrimonio, lasciava al popolo romano i giardini ai piedi del Gianicolo e donava 300 sesterzi ad ogni cittadino romano. Il popolo si ribellò contro i congiurati e il tumulto costrinse Bruto e Cassio ad abbandonare Roma. Antonio, per mezzo di plebisciti e con l'appoggio dei veterani, riuscì a controllare la situazione e andò in Campania, mentre Ottavio, che si trovava ad Apollonia, decise di tornare a Roma per affermare i suoi diritti di erede di Cesare. A Roma egli accettò l'adozione con il nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano, ma dovette subito arruolare un esercito per combattere contro Antonio, che sconfisse nella cosiddetta guerra di Modena. Quando il Senato, diffidando di lui, gli rifiutò il trionfo,
Ottaviano avanzò su Roma con le legioni e impose con la forza la
sua nomina a console. Ciò lo riavvicinò ad Antonio
che nel frattempo aveva stretto accordi con Lepido, governatore della Gallia
e della Spagna, mentre Bruto e Cassio si erano impadroniti l'uno della
Macedonia, l'altro della Siria. Dopo varie trattative, nel 43
a.C. Ottaviano, Antonio e Lepido formarono il Secondo Triumvirato,
che, a differenza del primo triumvirato, fu di carattere pubblico e fu
ratificato e istituzionalizzato dal Senato per la durata di cinque anni.
Dandosi il nome di Triumviri rei publicae constituendae, essi manifestarono
la loro intenzione di creare una nuova costituzione per lo Stato romano.
Uno dei loro primi atti fu di deificare Cesare e di proclamarlo divus
Iulius.
Il trionfo di Ottaviano Subito dopo l’avvento del Secondo Triumvirato cominciarono le proscrizioni e le confische dei beni. Una delle vittime più illustri fu Cicerone, il quale l’anno precedente aveva inimicato Antonio con le Filippiche (orazioni così chiamate perché ricordavano i discorsi di Demostene contro Filippo II il Macedone) e sottovalutato Ottaviano, che considerava troppo giovane per essere preso seriamente. Cicerone fu ucciso dai sicari di Antonio nel 43 a.C. Poco dopo Ottaviano ed Antonio decisero di combattere contro Bruto e Cassio, che, sconfitti, si suicidarono a Filippi nel 42 a.C. La battaglia di Filippi segnò definitivamente la fine dei repubblicani. Inizialmente Ottaviano, Antonio e
Lepido, i tre triumvirati, divisero tra di loro i domini e le
legioni conquistate e si dedicarono a governarle, ma presto Lepido
fu costretto da Ottaviano a ritirarsi a vita privata e Antonio incorse
in altre sventure.
La scofitta di Antonio contro i Parti nel 31 a.C., il ripudio di Ottavia e le sue successive nozze con Cleopatra, alla quale aveva regalato territori dalla Siria alla Cilicia, resero inevitabile il conflitto tra i due triumviri. Ottaviano, presentatosi come tutore dell’unità dell’impero, dichiarò guerra a Cleopatra e nel 31 a.C. vinse ad Azio la flotta dei due rivali. Antonio, inseguito fino in Egitto, si uccise ad Alessandria, seguito da Cleopatra. Nel 30 a.C. l’Egitto divenne dominio romano. Ormai padrone dell’impero, Ottaviano si dedicò al riordinamento dello Stato. La sua politica interna mirò essenzialmente a mantenere la priorità dell’elemento romano-latino entro l’impero e a rafforzare l’autorità del senato rispetto a quella delle altre magistrature. La sicurezza delle province al confine fu garantita da eserciti posti sotto il suo comando diretto. Nel 27 a.C., Ottaviano si fece conferire dal Senato
il titolo di Augusto per indicare il carattere sacro della sua posizione.
Augusto divenne quindi il primo imperatore di Roma.
L’impero di Augusto. L’anno 27 a.C. segna la conferma legittima di tutti i poteri di Ottaviano Augusto, il quale poté quindi dedicarsi a riordinare e riformare lo Stato e la società romana. Augusto fu certamente uno dei più abili amministratori che siano mai esistiti. Con le sue riforme creò la Pax romana, diede impulso alla comunicazione e al commercio e migliorò le condizioni di vita della maggioranza dei cittadini italici, esclusi quelli dei ceti più umili. Non essendo eccezionalmente portato all’arte militare, ne diede l’incarico al suo fedele amico Agrippa, ma non trascurò l’esercito e diede premi in terre e denaro ai veterani congedati, i quali fondarono 28 colonie, tra cui Torino e Aosta in Italia e Saragozza in Spagna. Nelle province diminuì le imposte e, per impedire gli abusi, adottò il sistema dei funzionari imperiali stipendiati. Accurate operazioni catastali e di censimento resero possibile una tassazione più equa, potendosi conoscere meglio il reddito delle singole regioni e dei singoli gruppi familiari. Durante il governo di Augusto ci furono tre censimenti della popolazione italica con i risultati seguenti: 28 a.C. 4.063.000 cittadini maschiSe si aggiungono le donne, gli schiavi, la popolazione libera non romana, ecc., si calcola che la popolazione italiana fosse di circa 10 milioni di abitanti. In tutta la penisola furono costruiti nuovi centri abitati, fortificazioni, strade, ponti, grandi edifici pubblici e porti. L’Italia fu divisa in 11 regioni (1. Latium et Campania. 2. Apulia et Calabria. 3. Bruttii et Lucanta. 4. Samnium. 5. Picenum. 6. Umbria. 7. Etruria. 8. Aemilia. 9. Liguria. 10. Venetia et Histria. 11. Transpadona) che conservarono la loro autonomia amministrativa e continuarono ad eleggere i propri magistrati. Come l’Italia fu divisa in regioni, così nell’anno 7 a.C. venne fatta una nuova divisione topografica di Roma, che venne organizzata in 14 regiones, 7 entro il pomerio e sette fuori. Questa divisione permise la definizione di un piano regolatore per lo sviluppo edilizio dell’Urbe. Oltre alla costruzione di nuovi edifici nel Foro Romano, Augusto inaugurò un altro centro monumentale ai margini della città dopo aver risanato la zona con opere idrauliche. Il regno di Augusto coincise con il secolo d’oro della
letteratura latina: vissero in quest’epoca scrittori come Cicerone,
Virgilio, Lucrezio, Orazio, Ovidio, Livio e Tacito.
Tiberio (42 a.C.- 37 d.C. - Imperatore 14-37 d.C.) Augusto aveva avuto una figlia, Giulia, dalla seconda moglie Scribonia perciò i suoi piani dinastici in principio si concentrarono sui mariti e figli di lei. Nel 25 a.C. Giulia aveva sposato il cugino Marcello, (figlio di Ottavia, sorella di Augusto), ma quando, nel 23 a. C., Marcello morì, Augusto scelse il fedele amico Agrippa come suo successore. Agrippa aveva 25 anni più di Giulia ed era già sposato, ma Augusto lo fece divorziare e nel 21 a.C. gli fece sposare la figlia. Da questo matrimonio nacquero cinque figli, due femmine, Giulia e Agrippina, e tre maschi, Agrippa Postumo, Gaio Cesare e Lucio Cesare, che furono adottati da Augusto. E’ chiaro che con l’adozione Augusto voleva che la linea dinastica continuasse con i figli di Giulia, ma i suoi piani non si realizzarono: Agrippa Postumo dimostrò di avere un carattere difficile per cui fu mandato in esilio e Gaio e Lucio morirono nel 2 d.C. Ad Augusto non restò che di considerare i figli della terza moglie, Livia, il maggiore dei quali era Tiberio, come suoi successori. Tiberio era figlio di Tiberio Claudio Nerone, un magistrato di alto rango, e di Livia Drusilla, sua cugina, che aveva soltanto 13 anni quando nel 42 a.C. diede alla luce il primo figlio, Tiberio. Livia era famosa per la sua bellezza. Nel 39 a.C., mentre aspettava il secondo figlio, Druso, Augusto divorziò la seconda moglie Scribonia (che pure era incinta) e la sposò. Tiberio e Druso restarono con il padre, ma quando questi morì andarono a vivere con la madre e l’imperatore a Roma, dove trascorsero la loro giovinezza insieme a Marcello, il figlio di Ottavia. Nel 12 a.C., quando Agrippa morì, Tiberio aveva 30 anni ed era felicemente sposato con la figlia di Agrippa, Vipsania, a cui era molto devoto e insieme alla quale aveva avuto un figlio, Druso. Tuttavia Augusto gli ordinò di divorziarla e di sposare Giulia. Non fu un matrimonio felice. Giulia aveva 27 anni, non andava d’accordo con la suocera Livia, e aveva una cattiva reputazione. Nel 2 a.C. Livia riuscì a ottenere le prove dei suoi vari adulteri e le presentò ad Augusto, il quale per punizione la mandò in perpetuo esilio nell’isola di Ventotene, dove le costruì una villa suntuosa. Oltre alla moglie Vipsania, Tiberio amava molto il fratello Druso, ma questi morì sul Po, vicino a Milano per una caduta da cavallo nel 9 a.C. Questi eventi contribuirono a incupire il suo carattere solitario. Nel 6 a.C. improvvisamente si ritirò a Rodi, lasciando Augusto senza un erede, e rifiutandosi di tornare a Roma. Ma dopo la morte dei nipoti e figli adottivi Lucio e Gaio, Augusto adottò Tiberio in tal modo proclamandolo il suo successore. Tiberio a sua volto adottò Germanico, il figlio del fratello Druso, il quale aveva sposato Agrippina, figlia di Giulia e Agrippa. Alla morte di Augusto nel 14 d.C. Tiberio assunse la carica di imperatore soltanto dopo le ripetute insistenze del Senato. Mandò Druso, il suo unico figlio, in Illiria e propose di concedere l'impero al figlio adottivo, Germanico. Ma Germanico fu ucciso dal governatore della Siria nel 19 d.C. Dopo alcuni anni di governo e di buona amministrazione specialmente finanziaria, Tiberio si abbandonò ad atti di violenza. Ministro del suo dispotismo fu il prefetto del pretorio Elio Seiano. L'errore più grave di Tiberio fu l'aver accordato la sua fiducia a questo uomo senza scrupoli, lasciato a Roma a spadroneggiare mentre egli viveva nel ritiro della sua residenza a Capri. Seiano aspirava a succedere a Tiberio, e cercò di eliminare coloro che gli davano ombra, a cominciare dal figlio di Tiberio, Druso, morto di veleno il 23 d.C. Sette anni dopo Tiberio si associò a Seiano nel potere proconsolare; ma l'audace ministro volle affrettare la successione cospirando contro l'imperatore. Questi, benché tardi, si persuase delle colpe di Seiano e lo fece condannare a morte dal Senato. Dalla strage quasi totale della famiglia imperiale, organizzata da Seiano,
era scampato il figlio di Germanico e Agrippina, Gaio, soprannominato
Caligola (da caliga, il calzare dei soldati che egli portava da piccolo).
Tiberio si prese cura di lui, e quando morì nel 37 d.C. (a 78 anni),
lo lasciò come suo successore senza indicarlo esplicitamente.
Caligola (12-41 d.C. - Imperatore 37-41 d.C.) Gaio Cesare Augusto Germanico era il terzo dei sei figli di Germanico e Agrippina. Da piccolo Gaio accompagnava i genitori nelle campagne militari vestito anche lui da soldato e perciò era diventato una specie di mascotte per i soldati del padre, che lo chiamavano Caligola per via dei calzari (caliga) che portava. La sua vita e gli anni del suo potere non sono stati documentati molto accuratamente, perciò è quasi impossibile ricostruire la verità su di lui. I resoconti che ci sono pervenuti sono più che altro aneddotici e caricaturali e rappresentano un uomo crudele, megalomane e pazzo. Quello che si sa con certezza è che crebbe in un’atmosfera di violenza, sospetto e delitti. Il padre fu assassinato, forse per ordine di Tiberio, nel 19 d.C., il fratello Druso nel 23, il fratello Giulio nel 31, la madre nel 33. Nel 27 fu mandato a vivere con la bisnonna Livia e nel 29, dopo la morte di lei, con la nonna Antonia. Nel 31, a richiesta dello zio, andò a vivere nella suntuosa villa di Tiberio a Capri e lì visse fino a quando divenne imperatore. Caligola entrò a Roma con grande trionfo il 28 marzo 37. In principio agì con grande magnimità: diede doni di denaro alle guardie pretorie, onori pubblici al padre ed altri parenti defunti e distrusse le carte personali di Tiberio che avrebbero potuto implicare molti personaggi importanti coinvolti nell’uccisione dei suoi familiari. La sua popolarità fu immensa ma ebbe poca durata. Recenti ricerche sembrano indicare che forse Caligola non era pazzo, ma soltanto un giovane arrogante, egoista, sprezzante, senza tatto o esperienza, posto in una posizione di illimitato potere. Durante il suo impero la Mauretania fu annessa e riorganizzata in due province, Erode Agrippa divenne re della Palestina, e gravi rivolte scoppiarono tra i greci e gli ebrei in Alessandria, ma questi eventi non hanno ricevuto molta attenzione. E’ risaputo invece che Caligola ebbe un affetto incestuoso per la sorella Drusilla, che dopo la sua morte nel 38 fu consacrata dea, la prima donna romana ad ottenere tale onore. Alcuni studiosi pensano che forse Caligola voleva stabilire a Roma una dinastia di tipo Tolemaico sposando la sorella. Nel 39 condusse una campagna in Germania dove estinse una rivolta
e condannò a morte gli istigatori, tra cui il vedovo di Drusilla.
Nel 40 marciò con l’esercito prima in Gallia e poi in Britannia
e al suo ritorno volle che una statua in suo onore fosse eretta a Gerusalemme:
soltanto l’intervento del governatore della Siria e di Erode Agrippa riuscirono
a prevenirlo e ad impedire lo scoppio di una rivolta in Palestina che ciò
avrebbe provocato. Fu assassinato dalle guardie pretorie nel 41 d.C.
Aveva 28 anni.
Claudio Claudio (10–54 d.C. - Imperatore 41-54 d.C.) Claudio era il figlio di Druso e Antonia e quindi zio di Caligola e fratello di Germanico, il quale era stato molto amato dai Romani ed era stato prescelto da Augusto a succedergli come imperatore. A differenza degli altri giovani della famiglia imperiale, Claudio aveva un aspetto poco attraente, la salute cagionevole, e una natura schiva. Pare che la famiglia imperiale lo avesse tenuto nascosto come un personaggio imbarazzante perché da piccolo aveva avuto una paralisi infantile che lo aveva lasciato goffo, malaticcio, balbuziente, zoppo e persino sbavante, per cui era stato considerato anche di scarsa intelligenza. Lasciato a se stesso e con l’incoraggiamento dello storico Tito Livio, che credeva in lui, Claudio si dedicò con passione agli studi, di cui la storia era il suo preferito, e divenne uno studioso di abilità eccezionale: scrisse, in greco, la storia di Roma cominciando da Augusto; 8 libri sulla storia di Cartagine; un trattato sull’alfabeto romano e uno sul gioco dei dadi, di cui era appassionato; e 20 volumi di storia sugli Etruschi, forse dovuto al fatto che la sua prima moglie, Plautia Urgulanilla, era di origine etrusca. Nessuno dei suoi libri è sopravvissuto. Le lotte di successione avevano colpito la sua famiglia molto crudelmente: il padre morì in una campagna militare quando Claudio aveva soltanto un anno, il fratello Germanico fu ucciso in circostanze poco chiare nel 19, e la sorella Livilla fu uccisa nel 31 quando era rimasta coinvolta con Seiano. Forse l’unico motivo per cui Claudio sopravvisse fu il fatto che era considerato una nullità. Il suo esordio nella vita pubblica era avvenuto nel 37 quando il nipote Caligola lo aveva proclamato console quasi per scherno. Ma nel 41, alla morte del nipote, Claudio fu proclamato imperatore dalle guardie pretorie perché era l’unico discendente della casa Giulio-Claudia. La posizione del Senato nei suoi riguardi rimase molto ambigua (infatti molti attentati contro di lui pare che fossero stati istigati dai Senatori) mentre invece l’esercito restò sempre dalla sua parte. Uno dei primi atti del suo impero e certamente il più importante fu la conquista della Britannia, che ebbe inizio nel 43 e che culminò con il suo ritorno trionfale a Roma nel 44. Claudio è forse il più enigmatico di tutti gli imperatori della casa Giulio-Claudia. Dagli storici romani Suetonio e Tacito viene descritto come un debole, succube delle mogli e dei liberti (gli schiavi a cui aveva dato la libertà e di cui si fidava più che degli aristocrati) mentre viene riabilitato dagli storici moderni, i quali lo descrivono come un uomo energico, dotato di buon senso, che adempì i suoi doveri con molta serietà. E’ certo che non si può fare troppo affidamento sugli storici del suo tempo che condividevano l’opinione dell’aristocrazia che da lui era stata esclusa dal potere, ma altri documenti attendibili dell’epoca lo rivelano un uomo pedante e dispotico, crudele e violento. Claudio ebbe quattro mogli. Dopo aver divorziato Plautia Urgulanilla, sposò Alia Patina e, dopo di lei, nel 38, Valeria Messalina, da cui ebbe due figli, Ottavia, nata nel 39, e Britannico, nato nel 41. Messalina condusse una vita scandalosa e cospirò contro di lui perciò nel 48 fu messa a morte insieme al suo amante. Sei mesi dopo Claudio sposò Agrippina, la figlia del fratello Germanico e perciò sua nipote, un atto contrario alla legge romana, che Claudio si affrettò a riformare. Agrippina era stata sposata con Enobarbo e da lui aveva avuto un figlio, Lucio Domizio, il futuro Nerone. Di famiglia influente, Agrippina ebbe molto potere a Roma e nel 50 si fece chiamare Augusta, l’unica donna dopo Livia a cui fosse concesso questo onore. La sua ambizione era di procurare il titolo di imperatore al figlio, benché il titolo spettasse di diritto a Britannico, figlio di Claudio e Messalina e più giovane di lui di tre anni. Claudio non fece nulla per difendere i diritti del figlio Britannico. Nel 53 il matrimonio di Nerone e Ottavia, la figlia che Claudio aveva avuto con Messalina, non lasciò più alcun dubbio su chi era stato prescelto ad essere il futuro imperatore. Non tutti gli storici sono d’accordo sulla fine di Claudio ma Tacito
racconta che, dopo aver assicurato l’impero al figlio, Agrippina avvelenò
Claudio con un piatto di funghi. Lo stesso giorno della morte di
Claudio, il 13 ottobre 54, Nerone fu proclamato imperatore.
Nerone
Nerone (37–68 d.C. - Imperatore 54–68 d.C.). Nel 54 Nerone non aveva ancora 17 anni ed era perciò la prima volta che il potere assoluto dell’impero romano si trovava nelle mani di un adolescente. La madre Agrippina immediatamente si diede da fare per eliminare il liberio Narciso, che precedentemente aveva ostacolato i suoi piani, e cercò in tutti i modi di prendere in mano il potere, ma Sesto Afranio Burro, prefetto del pretorio, e il filosofo stoico Seneca, precettore di Nerone, benché entrambi dovessero la loro posizione ad Agrippina, incoraggiarono Nerone ad agire indipendentemente da lei. Nel 56 Agrippina è messa in disparte e Burro e Seneca restano al potere. Fino al 59 soltanto atti di generosità e di clemenza sono attribuiti a Nerone: proibisce gli spettacoli crudeli dei gladiatori nel circo, abolisce la pena di morte, riduce le tasse ai meno abbienti, dà il diritto agli schiavi di accusare i padroni ingiusti. Inoltre inaugura competizioni poetiche, teatrali e sportive per sostituire gli spettacoli che aveva abolito e soddisfare il popolo assetato di divertimenti. Dà assistenza alle città che erano state vittime di disastri e aiuto agli ebrei. Secondo alcuni storici, con l’abolizione del tasso doganale Nerone inimicò la classe privilegiata che sotto gli imperatori precedenti si era arricchita con i soprusi, quella stessa categoria che aveva appoggiato la sua investitura. Di conseguenza gli aristocratici cominciarono a contrastarlo e a seminare discredito su di lui come un individuo dissoluto, irresponsabile e libidinoso. Nel 59 Nerone sospetta che sua madre stia tramando qualche congiura. La invita a Baia nel mese di marzo per celebrare la grande festa del Quinquatrie e, terminati i festeggiamenti, fa in modo che l'imbarcazione che doveva ricondurla ad Anzio naufragasse. Agrippina si salva a nuoto e raggiunge una delle sue ville a Lucrino dove viene uccisa. Viene messa in giro la voce che la madre voleva uccidere il figlio e che, fallito il piano, si fosse suicidata sicché il giorno dopo, venne celebrato con entusiasmo lo scampato pericolo di Nerone. A 20 anni Nerone incontra Poppea Sabina, donna famosa per la sua bellezza e moglie del senatore Salvio Otone, futuro imperatore, e vuole sposarla, ma naturalmente il matrimonio è ostacolato dalla presenza di Ottavia, la moglie che Agrippina aveva scelto per lui. Nel 62 Nerone accusa Ottavia di adulterio, la fa uccidere e dopo 12 giorni sposa Poppea. Durante questo periodo a Roma il lusso aveva raggiunto il culmine. Nerone, a cui Seneca aveva insegnato ad apprezzare le raffinatezze, amava l’eleganza, l'arte, la musica, la poesia, la danza, le collezioni di oggetti d'arte e i piaceri dell'alta cucina. Suo fedele amico era Gaio Petronio Arbitrio, uno dei più raffinati personaggi di Roma e arbitro del buon gusto. Ma Nerone andò oltre. Convinto di essere un grande poeta, attore e musicista, cominciò ad esibirsi in pubblico nei teatri. Per i Romani questo era esibizionismo di cattivo gusto perciò è probabile che i preliminari di quella che sarà la congiura di Pisone, un esponente dell'antica nobiltà romana, abbiano inizio durante questo periodo. Nel 64, quando un incendio devastò la città, Nerone ne approfitta per costruire la Domus Aurea, la cui area, una volta finita, sarebbe stata quella di un terzo della città. Nerone si trovava nella sua villa di Anzio quando scoppiò l’incendio, perciò non poteva essere stato lui ad iniziarlo, ma il popolo pensò che l’avesse fatto lui con lo scopo di costruire la Domus Aurea nella zona bruciata. Secondo gli Annales di Tacito e il Nerone di Suetonio, Nerone accusò i cristiani e gli ebrei del reato per allontanare da sè i sospetti. A quel tempo i Romani non facevano distinzione tra ebrei e cristiani, ma Poppea, che fin da giovane era stata molto vicina alla religione ebraica, intercedette a favore degli ebrei lasciando che i cristiani venissero scelti come capro espiatorio. E’ così che Nerone acquistò la dubbia fama di essere stato il primo persecutore dei cristiani. Nel frattempo erano scoppiate rivolte in varie parti dell’impero: in Oriente era ripresa la guerra col regno dei Parti per il possesso dell'Armenia; una ribellione era scoppiata in Britannia; nel 66 si ribellarono gli Ebrei di Palestina; agitazioni si ebbero anche in Gallia, sul Reno, e nella Mesia. A Roma Gaio Calpurnio Pisone organizzò un complotto per deporre l’imperatore. Ma Nerone venne a saperlo e il tentativo finì con 19 giustiziati e 13 esiliati. Tra le vittime Seneca, il poeta Lucano (entrambi costretti a suicidarsi) Pisone e Petronio. Morta Poppea, forse anche lei uccisa dal marito, Nerone sposa Messalina Statilia e nel 66 va in Grecia, dove annuncia il dono della libertà ai Greci e il taglio dell’Istmo di Corinto, raggiungendo il massimo della sua gloria. Il progetto desta grande impressione in Grecia e in tutto l'Impero. Al suo ritorno a Roma, è salutato come Ercole e Apollo e gli vengono attribuiti onori divini. Ma altre ribellioni si scatenano nell’impero capeggiate da Sulpicio
Galba nella penisola Iberica e da Giulio Vindice in Gallia.
I due si alleano, ottengono l’appoggio del Senato, e dichiarano Galba imperatore.
Nerone è costretto a fuggire e, rimasto solo con il suo liberto
Epafrodito, si rifugia nella villa di Faone, dove, prima che i soldati
possano raggiungerlo, si trafigge la gola con una spada. Era il 9
giugno 68 e Nerone aveva esattamente 30 anni e sei mesi. Finisce
con lui la dinastia giulio-claudia. Molti in seguito lo compiansero
e la sua tomba fu a lungo coperta di fiori. In Grecia fu ricordato
per molti anni con grande cerimonie come un essere soprannaturale che un
giorno sarebbe ritornato per essere di nuovo imperatore.
L’anno dei quattro imperatori. Con la morte di Nerone si estinse la casa Julio-Claudia, l’esercito rimase disorientato e senza guida e subentrò la guerra civile. L’anno 69 è quindi caratterizzato dalla successione di quattro imperatori, ciascuno a capo di un esercito che cerca di sopraffare gli altri e ottenere il potere. Il primo che riuscì nell’intento, ma soltanto per sette mesi, fu Sulpicio Galba (3 a.C. - 69 d. C.), lo stesso Galba che si era alleato con Giulio Vindice per fomentare una ribellione contro Nerone. Galba, che da giovane era stato adottato da Livia, la madre di Tiberio, apparteneva a un’antica famiglia patrizia che vantava di discendere da Giove. Ma nel gennaio del 68, subito dopo essere stato proclamato imperatore, varie ragioni contribuirono a renderlo impopolare: l’economia imposta dal senato per rifarsi dalle spese esorbitanti incorse da Nerone; la sua età (73 anni); il suo rifiuto di premiare, come aveva promesso, i pretori che avevano disertato Nerone; e l’adozione di Pisone Liciniano come suo successore invece di Salvio Otone (32-69). Salvio Otone, a suo tempo marito di Poppea, nel 58 era stato mandato in Lusitania da Nerone che voleva liberarsi di lui. Dopo esserne stato il governatore per 10 anni, Otone si unì a Galba, governatore di una vicina provincia, nella ribellione contro Nerone sperando che Galba lo avrebbe prescelto come suo successore, ma quando Galba scelse Pisone, Otone prese il potere con la forza. Galba e Pisone furono assassinati nel foro e nel gennaio del 69 Otone fu proclamato imperatore. Nel frattempo l’esercito della Gallia aveva proclamato imperatore Vitellio
Aulo (15–69), che con le sue legioni aveva già iniziato una
marcia verso Roma per prenderne il potere. Lo scontro tra l’esercito
di Otone e quello di Vitellio avvenne il 16 aprile a Bedriacum (oggi Calvatone)
presso Cremona, dove l’esercito di Otone fu sconfitto. Prima di essere
catturato Otone si tolse la vita e con lui molti dei suoi soldati che gli
furono fedeli fino all’ultimo. Vitellio entrò a Roma, ma nel
luglio dello stesso anno Vespasiano, il comandante dell’esercito
in Galilea, era pure stato proclamato imperatore. Uno dei suoi legionari,
Antonio Primo, entrò in Italia con cinque legioni, distrusse l’esercito
di Vitellio a Cremona mettendo a sacco la città, e successivamente,
il 20 dicembre dello stesso anno, entrò a Roma, dove Vitellio fu
ucciso dai suoi soldati.
Vespasiano Vespasiano (9 – 79) (Imperatore 69 - 79). Tito Flavio Vespasiano, il fondatore della stirpe Flavia, fu il primo imperatore di origine plebea. Durante la sua infanzia i suoi genitori si assentarono spesso per accudire ai loro affari lasciandolo alle cure di Tertulla, la nonna paterna. La sua educazione fu diretta verso la carriera politica e militare: fu tribuno in Tracia, questore in Creta, edile, pretore e senatore. Sposò Flavia Domitilla e da lei ebbe tre figli, due maschi, i futuri imperatori Tito e Domiziano, e una femmina, chiamata anche lei Flavia Domitilla, che fu più tardi deificata. Le due Domitille morirono prima che Vespasiano diventasse imperatore, perciò dopo la morte della moglie egli riprese a vivere con Caene, che era stata la sua amante prima del suo matrimonio. Nel 69 Vespasiano era stato proclamato imperatore in Galilea dai suoi alleati, ma giunto a Roma si rese conto dell’importanza di essere accettato dal senato e dai cittadini romani perciò saggiamente impiegò subito i suoi sforzi per raggiungere questo scopo. Come prima cosa si propose di ricostruire il Campidoglio e il Tempio Capitolino, simbolo dell'impero, e di edificare nuovi edifici, tra i quali il Colosseo (sul luogo della Domus Aurea di Nerone) e un tempio in onore dell’imperatore Claudio sul monte Celio per distanziarsi da Nerone ed essere considerato l’erede di Claudio. Per legittimare la sua posizione usò inoltre auspici divini e predizioni, stabilì i diritti inerenti alla carica di imperatore con la famosa lex de imperio Vespasiani, e proclamò la dinastia Flavia, presentando i due figli come suoi degni successori. Durante il suo impero ebbe luogo la distruzione di Gerusalemme nell’anno 70 per mano del figlio Tito, che Vespasiano, alla sua partenza per Roma, aveva lasciato in carica in Palestina. Alcuni ebrei si rifugiarono a Masada dove resistettero fino all'aprile del 73 ma poi furono sopraffatti e molti si suicidarono. I superstiti fuggirono all'estero dando inizio alla diaspora. Altri successi militari furono ottenuti nella Germania, nella Gallia e nella Scozia. A differenza dei suoi predecessori, Vespasiano era un uomo di semplici costumi ma astuto e ambizioso che si sforzò di restaurare le antiche virtù romane, restabilire la disciplina nell’esercito, controllare le finanze e riformare il Senato. Per colmare il deficit incorso da Nerone, Vespasiano aumentò le tasse, talvolta raddoppiandole, per cui fu spesso accusato di avarizia. In complesso però fu amato dal popolo, pose fine alle guerre civili, e procurò circa nove anni di pace, come viene messo in evidenza dalla parola pax nelle monete coniate in suo onore. Inoltre si interessò alla cultura e aiutò uomini di lettere e insegnanti con elargizioni annuali, creando cattedre di insegnamento persino nelle più remote province. Fu sempre di forte costituzione, ma nella primavera del 79 si ammalò
e morì. Le sue ultime parole furono “Vae, puto deus fio”
(“ahimé,
credo di star diventando un dio”). Era lo stesso stesso anno dell’eruzione
del Vesuvio che distrusse Pompei e Ercolano.
Tito Tito (39 - 81) (Imperatore 79 - 81). Dei primi anni della sua vita non molto è noto. Si sa che nel 64 sposò Arrecina Tertulla, che morì poco dopo il matrimonio, e che successivamente sposò Marzia Furnilla, una donna che apparteneva a una nobile famiglia romana; ma durante il regno di Nerone, la famiglia di Marzia finì in disgrazia perciò Tito la divorziò. Tito ebbe una figlia, Flavia Giulia, non si sa bene se dalla prima o dalla seconda moglie: la figlia sposò il cugino Flavio Sabino ma dopo la sua morte divenne l’amante dello zio Domiziano, il futuro imperatore, e morì nell’84 a causa di un aborto voluto da lui. Lo storico ebraico Giosefo racconta che Tito ebbe un ruolo importante
nelle guerre contro gli ebrei del 67-68, ma è nel 70 che il suo
nome diventa famoso, quando, alla morte di Nerone, viene lasciato dal padre
Vespasiano in Giudea con l’incarico di distruggere Gerusalemme. Tito
assedia la città, la rade al suolo, ne distrugge il tempio e ne
uccide gli abitanti conquistandosi la fama di eroe presso i romani e di
mostro presso gli ebrei. L’evento è commemorato dall’Arco
di Tito, all’entrata del foro romano.
Alla morte del padre, Tito gli succede pacificamente anche se pare che non corresse buon sangue tra di lui e il fratello Domiziano che gli succederà nell’81. Inaspettatamente Tito si dimostrò un ottimo imperatore tanto che fu chiamato “delizia del genere umano.” Nella vita di corte bandì il lusso ma come il padre non lesinò spese per costruire opere pubbliche. Completò e inaugurò il Colosseo dando il via a cento giorni di feste con battaglie navali sul lago artificiale, battaglie di gladiatori e cacce di animali esotici; ricostruì la famosa biblioteca del Portico di Ottavia, facendo arrivare dall’oriente nuovi libri e nuovi codici; costruì bagni imperiali ed iniziò la costruzione dell’arco di Tito. Inoltre si dimostrò molto umano e caritatevole con i suoi sudditi. Dopo un altro spaventoso incendio di Roma, aiutò la popolazione a ricostruire e dopo l’eruzione del Vesuvio diede soccorso alla popolazione di Pompei. Lasciò il tesoro dello stato in condizioni molto migliori di di quanto l’avesse trovato, scelse con saggezza i suoi amici e consiglieri e promulgò leggi che trovavano favore presso i cittadini romani, favorendo soprattutto l’esercito. Fu uno degli imperatori veramente amati e pianti dopo la morte.
Domiziano Domiziano (51 - 96) (Imperatore 81 - 96). Tito Flavio Domiziano era figlio dell’imperatore Vespasiano e fratello dell’imperatore Tito, a cui succedette nell’81. Era un uomo che preferiva la solitudine e amava la raffinatezza e la cultura ma a cui mancava il carisma del padre e del fratello. Di carattere introverso, era stato trascurato sia da Vespasiano, che non gli aveva mai conferito cariche di responsabilità, che da Tito, che non lo aveva mai messo alla prova durante le sue campagne militari. Su di lui sono state formulate opinioni alquanto diverse, considerato un bravo amministratore e il salvaguardia delle virtù romane da alcuni, un autocrata crudele e licenzioso da altri. Uno dei primi atti di Domiziano fu di costruire l’Arco di Tito in onore del fratello che non aveva mai amato, e questo lo fece certamente per assicurarsi l’appoggio dei senatori, come del resto avevano fatto i suoi predecessori; tuttavia non riuscì mai ad accattivarsi la loro approvazione, anzi si attirò l’odio dell’oligarchia senatoriale e aristocratica che lo accusava di aver sminuito il potere del Senato a favore di quello militare. Da imperatore condusse diverse campagne ma la sua abilità militare
non era certo paragonabile a quella di Vespasiano e di Tito. Vinse
contro i Catti nella Gallia e conquistò la Britannia. Sotto
il suo impero ebbero luogo diverse guerre contro la Dacia (l’attuale Romania)
che fu sconfitta nel 93. Al suo ritorno a Roma gli fu data una ovatio,
il che è un po’ meno del trionfo dato ai vincitori, forse perché
la guerra non era completamante finita e vi furono altre insurrezioni sul
Danubio fino al 97.
Domiziano aveva sposato Domizia Longina ma il solo frutto della loro unione era morto da giovane lasciandolo senza eredi, perciò quando Domiziano fu assassinato nel 96, il senato non perse tempo ed elesse imperatore Nerva, uno dei suoi amici. Pare che l’assassinio fosse dovuto a un complotto interno ma non è chiaro chi fossero i colpevoli. Molto è stato detto sulle persecuzioni degli ebrei e dei cristiani
durante il suo impero, ma in effetti non ci sono prove che siano veramente
avvenute. Tra gli aspetti positivi del suo governo bisogna ricordare
la sua buona amministrazione, la sua giustizia, le sue riforme fiscali,
che risultarono nel rialzo del valore della moneta, e terriere, che risultarono
nella distribuzione dei terreni lasciati incolti a chi voleva lavorarli.
Fu anche molto saggio nella scelta dei suoi collaboratori: infatti
i suoi successori, Nerva e Traiano, confermarono tutti i governatori da
lui scelti.
Nerva (30 - 98) (Imperatore 96 - 98). Con Domiziano si estinse la dinastia Flavia che aveva dovuto affrontare e aveva risolto con successo un difficile periodo di transizione; infatti durante quell’epoca i Romani erano stati costretti a passare da una politica di espansione ad una politica di difesa dei confini. L’impero era enorme e l’esercito non riusciva ad intervenire ovunque sorgessero ribellioni e tentativi di riconquistare la propria indipendenza da parte delle popolazioni locali sottomesse dai Romani. Per risolvere questi problemi i Flavi avevano costruito molte strade per rinforzare le vie di comunicazione e avevano reclutato elementi indigeni nell’esercito, che non era più costituito di uomini arruolati occasionalmente, ma da soldati di carriera ben pagati e presi sul posto di cui conoscevano bene la topografia e le condizioni climatiche. I Flavi dunque lasciarono ai loro successori, i cosiddetti cinque buoni imperatori, un impero che avevano consolidato e rinforzato con la loro accortezza. Subito dopo l’assassinio di Domiziano fu eletto imperatore Cocceio Nerva, un uomo già anziano e senza figli discendente da una famiglia senatoriale, che aveva dato prova di essere un senatore molto abile. Essendo vissuto sotto quattro imperatori (da Nerone a Domiziano) e console con due di loro, Nerva aveva imparato a sopravvivere. Il nuovo imperatore si trovò quasi subito a dover risolvere il
problema della successione per la quale escogitò una soluzione che
fu seguita anche in seguito con ottimi risultati. Approfittando della
vittoria di Marco Ulpio Traiano in Pannonia nel 97, Nerva lo dichiarò
pubblicamente suo successore e collega consolare senza dare il tempo all’opposizione
di protestarne la scelta. Traiano fu immediatamente dichiarato imperatore
con l’aggiunto titolo di Germanico in onore della sua vittoria.
Questi provvedimenti continuarono ad essere in vigore anche sotto Traiano,
Antonino il Pio e Marc’Aurelio.
Traiano (53 - 117) (Imperatore 98 - 117). Traiano è considerato il primo dei cosiddetti “buoni” imperatori, che vanno da lui a Marc’Aurelio. Durante il loro impero Roma raggiunse l’epoca aurea. Marco Ulpio Traiano, il primo imperatore nato nelle province, nacque ad Italica, in Spagna, in una colonia romana fondata da Scipione l'Africano e da lui popolata con i veterani del suo esercito. La sua famiglia era di origine romana, benché mischiata con gente del luogo. Suo padre aveva fatto una brillantissima carriera nelle alte cariche dell'esercito e dell'amministrazione romana ed aveva ottenuto il titolo di patrizio, titolo molto ambito che veniva dato al gruppo più aristocratico della classe senatoriale. Verso la metà degli anni 70 fu legionario sotto il comando del padre in Siria. Al suo ritorno sposò Pompea Plotina, che proveniva da Nimes, nella Gallia. Non ebbero figli, perciò accolsero nella loro dimora Adriano, cugino di Traiano, che Plotina amò come un figlio e che sarà il futuro imperatore. Il suo potere non fu meno di quello dei suoi predecessori, ma il suo stile fu molto diverso. Di carattere affabile e deciso, ebbe un ottimo rapporto con i senatori, di cui riconosceva l’influenza e il prestigio e di cui riuscì ad ottenere l’appoggio. Era un uomo intelligente e abile che godeva grande popolarità tra i suoi soldati di cui era stato generale durante gli ultimi 10 anni e di cui conosceva i nomi e condivideva le vicissitudini. Condusse una vita dal tenore modesto e usò le grandi ricchezze procurate dalle sue campagne militari per opere pubbliche e sociali. Fu inoltre un ottimo amministratore e pose persone oneste e capaci in posizioni di potere. Uno di questi fu Plinio il Giovane, che Traiano nominò governatore della Bitinia, una delle province romane sulla costa dell’Asia Minore. L’epistolario tra Plinio e Traiano consiste di migliaia di lettere che costituiscono un importante documento storico dell’epoca e una straordinaria biografia dell’imperatore, che si rivela un uomo dotato di buon senso e di dirittura morale. Alla domanda di Plinio su come comportarsi con i Cristiani, Traiano risponde che non era opportuno perseguitarli per la loro religione ma soltanto se fossero sediziosi contro l’autorità costituita. Questo atteggiamento era in pieno accordo con la tolleranza praticata dai Romani verso le molte divinità pagane e le varie religioni che giungevano a Roma dalle province. Nel primi anni Traiano non si dedicò ad estendere i confini dell’impero, ma nel 101 riprese l’invasione della Dacia, che Domiziano era stato costretto ad abbandonare dal re Decebalo. Traiano ne conquistò la capitale e Decebalo si suicidò insieme alle sue truppe per non essere fatto prigioniero. La conquista della Dacia procurò molte ricchezze minerarie che Traiano usò per costruire grandiose opere pubbliche a Roma, in Italia e nelle province sotto la direzione del grande e famoso architetto Apollodoro di Damasco; tra le più importanti sono i fori imperiali, al centro dei quali fu eretta la statua dell’imperatore. Un altro capolavoro è la colonna traiana, costruita per celebrare la vittoria contro la Dacia. Questa famosa colonna è ancor oggi la più eloquente testimonianza della gloria di Traiano. Oltre alla Dacia, nel 105-106 Traiano aggiunse all’impero la provincia dell’Arabia con la conquista del regno dei Nabatei. Diverse donne ebbero un ruolo importante nella vita di Traiano: oltre alla moglie Pompea Plotina, la sorella Marciana e Matidia, sua figlia, che diventerà la moglie di Adriano, furono deificate e onorate con monumenti e iscrizioni. Nel 113 Traiano iniziò i preparativi per una guerra decisiva
contro i Parti che avevano messo sul trono il re Partamasiri senza l’approvazione
dei Romani. Attraversò l'Asia Minore e la Cilicia e verso la fine
dell'anno raggiunse Antiochia. In principio la sua spedizione fu
marcata dal successo, ma i territori conquistati furono molto duri da tenere
a causa delle continue insurrezioni delle popolazioni locali. Traiano
aveva sessant’anni e la durissima campagna durata tre anni, il deserto
e le misavventure lo avevano prostrato. Rientrato ad Antiochia, mentre
si preparava a tentare una nuova spedizione, fu colpito da una paralisi.
Affidò l'esercito in Siria ad Adriano e si imbarcò per fare
rientro in Italia ma si aggravò e fu costretto a fermarsi a Selinunte
dove morì dopo aver annunciato l’adozione di Adriano.
Adriano
Diventato imperatore, Adriano decise di abbandonare le lontane frontiere che erano diventate difficili da difendere e di indirizzare le energie dello Stato verso uno sviluppo interno. Dopo un paio d'anni di permanenza a Roma, rinunciando a mire espansionistiche e ritenendo che le conquiste fatte fino allora rappresentassero già un grosso problema difensivo per le risorse dell'erario, iniziò i grandi viaggi per tutte le province, dall'Inghilterra all'Egitto, dal Danubio al Reno, dalla Spagna alla Grecia. In Grecia rimase affascinato dal passato artistico intellettuale e filosofico e vi rimase quasi sei anni. Durante questo periodo si dedicò a riportare le antichità allo splendore iniziale e ad erigere nuovi edifici; inoltre si prodigò per la cultura, la poesia e l'arte, tanto che gli Ateniesi riconoscenti lo elessero Arconte, il maggior onore per un uomo non nato in Grecia. Adriano era un esteta, un uomo colto, un collezionista che amava l’arte, la poesia e la letteratura, un uomo che scalò le vette di alcune montagne, tra cui il Casius in Antiochia e l'Etna in Sicilia, per godere il miracolo del sorgere del sole. Compose poesie, di cui quattro sono sopravvissute, e lasciò scritto nelle sue Memorie “chi ama il bello finisce per trovarlo ovunque”. Ma Adriano è famoso soprattutto per l’architettura, tra cui la Villa Adriana di Tivoli, nella quale riprodusse, in un complesso monumentale, molti edifici greci, fra i quali il Liceo, l'Accademia, il Canopo, la Stoà, che decorò con originali o copie delle migliori sculture greche. Recostruì il Pantheon, ancora oggi uno dei monumenti antichi di Roma meglio conservati e capolavoro della storia dell'ingegneria e dell'arte non soltanto romana, ma universale. La caratteristica cupola di 43,40 metri circa poggia su 16 grandi colonne monolitiche in granito rosso e nero fatte venire dalle cave egizie, alte 12,50 metri e del peso di 1200 quintali ognuna. Il Pantheon fu dedicato al culto delle sette divinità planetarie fino allora conosciute, Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno e Sole. E' da questo momento che si affermò il modo di raggruppare i giorni in un sistema fino allora sconosciuto, l'ebdomadario, cioè la settimana. Per aumentare la sicurezza dei confini dell'isola britannica, Adriano fece costruire il Vallo di Adriano, la grande opera di fortificazione che divideva in due la Britannia da Newcastle a Bowness e che oggi divide l'Inghilterra dalla Scozia. Un muro alto 6 metri, con davanti un fossato a U di 9 metri lungo 118 chilometri, con 118 castelli "miliari" di 40 metri per 30, così chiamati perché collocati a un miglio l’uno dall’altro, dove le guarnigioni avevano il compito di ostacolare i predoni e i banditi provenienti dal nord. Come gli antichi Ateniesi, anche Adriano si circondava da giovani di bell’aspetto. Tra questi il suo preferito era Antinoo, un giovane greco della Bitinia che l’imperatore voleva sempre con sè. Mentre erano in Egitto, Antinoo morì annegato durante un bagno sul Nilo in circostanze misteriose. Adriano fu prostrato dalla morte del suo favorito, lo elevò al rango di divinità, come dio della gioventù e della bellezza e lo fece onorare fondando una città in Egitto con il suo nome, Antinoopolis, tutta greca nell’urbanizzazione, nell’ architettura e perfino nella gente, che fece venire appositamente dalla Grecia per popolarla. L’effige di Antinoo oggi si trova a Napoli nel Museo Archeologico, una delle più belle sculture greche. Durante questo periodo Adriano emanò l'Editto Perpetuo, una delle prime raccolte di leggi codificate, opera di Salvo Giuliano, un suo giureconsulto; si tratta di leggi di tutti i tipi, agrarie, sociali, di amministrazione della giustizia, militari, civili e penali che stabiliscono una tappa importante nella storia della giurisprudenza. Nel 134 Adriano ritornò nella sua splendida villa di Tivoli, dove pensava di passare gli ultimi anni della sua vita. Nel frattempo in Giudea gli Ebrei, capeggiati da Simeon Bar Kokhba, si erano ribellati ancora una volta contro i Romani causando perdite ingenti alle loro legioni. La ragione pare fosse il fatto che Adriano, che aborriva la mutilazione fisica, aveva abolito la circoncisione come un atto criminale e aveva progettato di costruire una nuova Gerusalemme, Aelia Capitolina, e un nuovo tempio in onore di Giove Capitolino nel luogo sacro agli Ebrei. Molto è stato detto sulla strage che avvenne in quel periodo durante la quale più di 500.000 Ebrei persero la vita, ma ricerche storiche recenti indicano che quando Adriano arrivò in Giudea erano già passati almeno sei anni da quell’evento e la rivolta era già stata domata. Nel 136 la sua salute cominciò a declinare e Adriano decise di scegliere un erede. Scelse Commodo, che però morì trentenne nel 138. Adriano allora adottò il senatore Antonino, alla condizione che egli a sua volta adottasse Annius Verus, suo nipote, che sarà il futuro Marc’Aurelio. Adriano morì il 10 luglio 138 dopo una lunga e dolorosa malattia
durante la quale cercò più volte di togliersi la vita.
Dopo la sua morte fu deificato da Antonino, che per questo fu chiamato
Antonino
il Pio.
Antonino il Pio Antonino il Pio (86 - 161) (Imperatore 138 - 161). Alla morte di Adriano, Antonino aveva già 53 anni e nessuno si sarebbe aspettato che avrebbe regnato così a lungo. La sua famiglia veniva da Nîmes, in Provenza, ma già da molti anni si era trasferita a Roma dove aveva accumulato un immenso patrimonio, con poderi in Campania, Etruria, Umbria, nel Piceno e nel Lazio. Nel 117 Antonino aveva sposato Faustina Maggiore, sorella di Annio Vero, il padre di Marc’Aurelio, ma Faustina morì nel 140 lasciandolo con una figlia, Faustina Minore (che più tardi sposerà Marc’Aurelio) e i due figli adottivi Marc’Aurelio e Lucio Vero, che, come vedremo più avanti, saranno ambedue imperatori. Al contrario di Adriano, che aveva passato quasi tutta la sua vita viaggiando,
Antonino non si mosse mai dalle sue residenze in Campania. Non gli
piaceva viaggiare, aborriva lo sfarzo, era semplice di gusti e preferiva
vivere nella sua campagna dove i riti e le credenze erano arcaici, legati
alla terra, alla fertilità e ai cicli vegetali, come lo sono in
tutte le antichissime tradizioni nel mondo. Preferiva la pace e affidò
ad altri la direzione delle guerre e l'amministrazione dell'impero.
Fu molto parsimonioso e pur dimostrandosi moderato nel far pagare le tasse, non fu meno prodigo dei suoi predecessori nello spendere grosse somme per le elargizioni al popolo (ne fece 9, in denaro e grano), ai soldati, ai bisognosi, alle ragazze madri e ai bambini illegittimi. Per onorare la memoria della moglie Faustina, Antonino fondò Puellae Faustinianae, un’istituzione caritatevole per le ragazze povere. Antonino costruì il tempio di Adriano nel Campo Marzio, un tempio
in onore di Faustina nel Foro e completò il mausoleo di Adriano
sul Tevere. Alla sua morte lasciò all’impero un surplus
675 milioni di denarii.
Marc’Aurelio 30. Marc’Aurelio (121 - 180) (Imperatore 161 - 180). Marco Annio Vero era nato in una famiglia illustre. Perduto il padre in tenera età, era stato educato dal nonno paterno, Antonino, da cui fu adottato per volere di Adriano insieme a Lucio Vero (130- 169), figlio di Commodo. Alla morte di Antonino fu proclamato imperatore, prese il nome di Marco Aurelio Antonino, e associò a sé il fratello di adozione Lucio Vero, che condivise con lui il titolo di imperatore. Nel 145 sposò la cugina Faustina Minore, figlia di Adriano, ed ebbe da lei 13 figli, dei quali sono da ricordare: Lucio Aurelio Commodo, che divenne imperatore dopo di lui, e Antonia Lucilla, che a 17 anni sposò Lucio Vero e, dopo la sua morte, Claudio Quinzio Pompeiano, consigliere e collaboratore del padre. Da giovane Marc’Aurelio si era dedicato agli studi letterari con molta serietà ma il suo interesse risiedeva soprattuto nella filosofia, che aveva studiata alla scuola di Epitteto, l’ex schiavo filosofo della scuola stoica. Le sue riflessioni e ricordi si trovano nel libro intitolato Meditazioni, che scrisse in greco nel mezzo delle molte campagne militari che suo malgrado dovette compiere. Infatti durante il suo impero non solo vi furono molte rivolte nei territori dell’est, ma incominciarono anche le invasioni dal nord che dovranno piagare l’impero nei secoli successivi. Nel 161 i Parti invasero la Siria, nel 167 i Marcomanni invasero Aquileia, vi furono ribellioni sul Danubio, in Egitto, in Spagna, in Britannia oltre alle perenni insurrezioni in Armenia. Inoltre, al loro ritorno dalle campagne nell’est, i soldati romani portarono a Roma un’epidemia di vaiolo che uccise un terzo della popolazione. La colpa fu data al fatto che gli dei tradizionali dei romani erano stati abbandonati in favore della nuova religione cristiana, perciò Marc’Aurelio, per soddisfare i cittadini, perseguitò i cristiani. Fu proprio durante il suo regno che l’impero romano cominciò a sgretolarsi. Lucio Vero morì nel 168 lasciando Marc’Aurelio da solo ad affrontare
le campagne militari che lo tennero lontano da Roma durante la maggior
parte del suo impero. Morì a 60 anni, sfinito dai viaggi e
dalle lunghe battaglie.
Commodo (161 - 192) (Imperatore 180 - 192). Commodo, figlio di Marc’Aurelio e Faustina, fu nominato Cesare all’età di 5 anni e cominciò a regnare diciassettenne insieme al padre, seguendolo nelle sue campagne militari lungo la frontierea del Danubio. Alla morte di Marc’Aurelio, Commodo, che non amava la vita militare, si affrettò a tornare a Roma dove fu accolto trionfalmente come successore del padre e continuatore del suo sistema di governo. Gli storici non sono d’accordo nel loro giudizio su Commodo, che è stato vilificato come un uomo corrotto o addirittura pazzo, specialmente negli ultimi anni della sua vita. Risulta però che appena rientrato a Roma conquistò i Romani elargendo doni ai soldati e alla plebe, che lo amavano per la sua generosità; mentre il Senato, composto della vecchia aristocrazia, cercò di approfittare del giovane imperatore per ristabilire la propria autorità. Reperti di monete dell’epoca indicano che Commodo diede doni al popolo ben nove volte, sette durante il periodo in cui fu imperatore. Sotto di lui l’impero godette un periodo di pace e tranquillità, ma Commodo fu vittima di molte congiure e attentati durante la sua vita, in parte perché invece di dare le cariche importanti ai membri dell’aristocrazia romana le dava ai suoi favoriti, tra cui Perenne e Cleandro, uno schiavo venuto dalla Frigia. La prima congiura fu capeggiata dal generale Pompeiano, il secondo marito della sorella Lucilla. Il tentativo fallì e Commodo condannò a morte tutti i congiurati, inclusa la sorella. La seconda pare fosse istigata dalla moglie Crispina, che prima fu esiliata e poi uccisa. Dopo la sua morte, Commodo prese Marcia, una donna filocristiana, come concubina, e a questo viene attribuito il fatto che durante questo periodo non vi furono persecuzioni contro i cristiani o altre religioni. Non solo Commodo riusciva a sventare le congiure, ma si cimentava con i gladiatori e le bestie feroci nell’arena per dimostrare la sua forza e la sua abilità, perciò il popolo lo credeva invincibile e invulnerabile, il nuovo Ercole divino e immortale. Infatti è così che viene rappresentato nelle statue dell’epoca. Ma un ultimo complotto, in cui pare fossero complici la concubina Marcia e Pertinace, si concluse con la sua morte: un suo fidato gladiatore, Narcisso, lo strangolò mentre faceva il bagno. Naturalmente Pertinace diventò il nuovo imperatore, acclamato
dai pretoriani e subito confermato dal senato. Pertinace annullò
tutto l'operato di Commodo e ne condannò la memoria ordinando di
cancellare ogni iscrizione che ricordasse le sue imprese.
Pertinace e Settimio Severo Pertinace (126 - 193) (Imperatore 193) e Settimio Severo (145 – 211) (Imperatore 193 - 211). Elvio Pertinace era nato in Liguria, figlio di un liberto di umile origine, ma era stato educato a Roma e si era distinto nella carriera militare. Alla morte di Commodo aveva già 66 anni ma godeva di un’ottima reputazione tra i senatori e fu scelto come suo successore senza dubbio con l’aiuto del generale Pompeiano. Fin dall’inizio dimostrò di voler governare costituzionalmente, con clemenza ed energia, di voler ristabilire il potere dei senatori (per cui prese il titolo di principe del senato) e di voler risanare le finanze dissestate dello stato emanando provvedimenti rigorosi rivolti a reprimere la licenza e gli abusi. Ma le sue riforme suscitarono la ribellione dei soldati pretoriani, i quali erano stati gli autori della congiura contro Commodo e perciò pensavano di aver diritto a favori speciali. Il 28 marzo del 193, soltanto tre mesi dopo la sua nomina a imperatore, i pretoriani assalirono il palazzo imperiale e lo uccisero. Alla sua morte subentrò la guerra civile con quattro pretendenti alla carica imperiale: le legioni della Pannonia elessero Settimio Severo, quelle della Britannia Clodio Albino, quelle della Siria e dell’Egitto Pescennio Nigro, mentre a Roma il ricchissimo Didio Giuliano offrì 6250 denari a ogni pretoriano e venne acclamato imperatore. Giuliano però non godeva di molta popolarità e quando Settimio Severo entrò in Italia con quattro legioni incontrò pochissima resistenza e a Roma fu dichiarato imperatore mentre Giuliano fu condannato a morte e ucciso. Settimio Severo era nato a Leptis, in Africa da ricca famiglia equestre. La sua carriera politica, iniziata nel 172, lo aveva portato in varie regioni dell’impero: questore in Sardegna, proconsole in Africa, tribuno della plebe e pretore a Roma, legato del governatore nella Spagna Tarraconense e governatore della Siria nel 179. Nel 187 era stato nominato governatore della Gallia Lugdunense ed aveva sposato Giulia Domna, che proveniva Emesa, Siria, rinomata per la sua bellezza e intelligenza. Nel 188 a Lugdunum (odierna Lyon) era nato il loro primo figlio, Bassiano che più tardi succederà al padre con il nome di Caracalla. A Roma il nuovo imperatore diede grandi onori al suo predecessore, Pertinace, e promise ai senatori che avrebbe ristabilito la loro autorità. Ma non restò molto a lungo nella capitale. Nel 193 andò in oriente, dove distrusse l’esercito di Pescennio Nigro e dopo un lungo assedio conquistò Bisanzio. Poi iniziò la guerra contro Clodio Albino, che si era proclamato imperatore ed aveva invaso la Gallia. Nel 197 Albino e il suo esercito furono assediati a Lugdunum, dove Albino si suicidò per non cadere prigioniero. L’epoca di Settimio Severo è considerata l’epoca d’oro della giurisprudenza perché Settimio Severo si circondò di giureconsulti illustri, tra cui Paolo Ulpiano e Papiniano. Morì all’età di 65 anni dopo 18 anni di regno,
la durata del quale non sarà sorpassata fino a Diocleziano un secolo
più tardi.
Caracalla
Tra Caracalla e il fratello Geta non erano mai corsi buoni rapporti. Il padre Settimio Severo aveva cercato di attuire i loro dissensi portandoli con sè nella sua prima spedizione in Britannia, ma riuscì soltanto ad ottenere una tregua. Dopo la morte del padre nel febbraio 211, essi tornarono a Roma dove divisero il potere imperiale per qualche mese vivendo in alloggi separati sul Palatino, ognuno protetto contro l’altro dai propri soldati e guardie del corpo. Ma nel dicembre dello stesso anno Caracalla fece uccidere Geta. Al delitto seguì una strage che durò circa due settimane durante la quale furono uccisi circa 20,000 pretoriani seguaci del fratello. Il 212 è l’anno della riforma chiamata Constitutio Antoniniana che accordò la cittadinanza romana a tutti i sudditi liberi dell' impero. Questo è anche l’anno in cui cominciò la costruzione delle Terme, completate durante l’impero di Alessandro Severo. Le Terme di Caracalla sono uno dei più grandiosi e meglio conservati esempi di terme imperiali. Più volte restaurate, rimasero in funzione fino al 537, quando il re goto Vitige fece distruggere gli acquedotti che alimentavano Roma. Dopo il 213 Caracalla lasciò Roma. Prima andò in Gallia e poi nella Rezia per combattere contro un nuovo nemico, gli Allemanni. Dalla Rezia si recò in oriente per combattere contro i Parti e durante il viaggio fu preso da una grande ammirazione per Alessandro Magno con il quale cominciò a identificarsi, a imitare e a cercare di emulare. Nell'autunno del 215 andò ad Alessandria di Egitto ma gli abitanti lo accolsero con dimostrazioni ostili, a cui Caracalla rispose massacrando migliaia di abitanti. Dopo la strage Alessandria fu divisa in due quartieri per mezzo di un muro per impedire le comunicazioni. Nel 216 Caracalla ritornò ad Antiochia e mosse guerra ai Parti per punire Artabano V che gli aveva rifiutata la mano della figlia. Dopo aver distrutto la città di Arbela nella Media, ritornò in Mesopotamia con l’intenzione di passare l’inverno a Edessa. Ma a Edessa fu ordita una congiura contro di lui. Capo del complotto fu Opellio Macrino, prefetto del pretorio, e l’esecutore ne fu Marziale, un membro della guardia imperiale. Caracalla venne ucciso nell'aprile del 217, mentre viaggiava verso Carre per fare un sacrificio al dio Luno. Marziale fuggì ma venne inseguito e ucciso a sua volta. La madre Giulia Domna, che si trovava ad Antiochia, dopo aver appresa
la notizia dell'uccisione del figlio si lasciò morire di fame.
Macrino Macrino
(164 - 218) (Imperatore 217 - 218).
Dopo la morte di Caracalla i soldati offrirono l'impero a Oclatinio Avvento, uno dei due prefetti del pretorio; ma Oclatinio rifiutò dicendo che era troppo vecchio per la carica. Macrino, che i soldati non sapevano fosse stato l’organizzatore della congiura, fu così abile nel simulare il suo dolore per la fine di Caracalla che, dopo tre giorni, venne acclamato imperatore. I senatori, privi di alternative, dovettero accettare la scelta. Per ingraziarseli, Macrino annullò condanne, punì i favoriti del suo predecessore e ridusse le imposte, mentre per ingraziare i soldati deificò l’imperatore che aveva assassinato. Ma Macrino non era esperto nell’arte militare e subì tre umilianti sconfitte da parte di Artabano V, re dei Parti, degli Armeni e dei Daci, suscitando il malcontento nelle truppe. Inoltre, per ristabilire il tesoro pubblico che Caracalla aveva sperperato dando continui aumenti di paga ai soldati, ridusse lo stipendio delle reclute provocandone il malcontento. Di questa situazione approfittò Mesa, sorella di Giulia Domna, che dopo la morte del cognato Caracalla era stata mandata in esilio ad Emesa, in Antiochia con le due figlie, Soemide a Mammea, ambedue vedove e ciascuna con un giovane figlio: il figlio di Mammea, Alessiano, aveva 12 anni; il figlio di Soemide, Vario Avito, aveva 14 anni ed era sacerdote di El-Gabal (Eliogabalo, il dio Sole), il cui sacerdozio era ereditario nella famiglia di Domna Giulia e di Mesa. La città di Emesa era famosa per il ricchissimo tempio dedicato a El Gabal che conteneva un oggetto sacro, una pietra nera di forma conica. Approfittando della strana somiglianza di Vario Avito a Caracalla, Domna Giulia e Mesa convinsero i legionari ad acclamarlo imperatore, con l’aiuto di una generosa elargizione di denaro presa dal tempio. Macrino cercò di spegnere la rivolta inviando il prefetto Ulpio
Giuliano a combattere contro la legione accampata a Emesa e, quando questi
non riuscì nell’intento, proclamò Augusto il figlio Diadumeniano,
che aveva soltanto nove anni. Ma anche questo strattagemma fallì
e Macrino dovette ritirarsi ad Antiochia, dove, abbandonato dalle sue truppe,
fu ucciso insieme al figlio.
Eliogabalo Eliogabalo (204 – 222) (Imperatore 218 –222). Nell’anno 218 il giovane Vario Avito, che passò alla storia col nome di Eliogabalo, fu proclamato imperatore. La madre Soemide e la nonna Mesa furono proclamate Auguste. A Roma il giovane imperatore si circondò di una corte siriaca e iniziò il culto di El-Gabal, mentre l’impero stava nelle mani di Soemide e di Mesa. Benché sembri che nel breve periodo del suo impero Eliogabalo abbia avuto ben cinque mogli affibbiategli dalla madre, le sue che sia Eliogabolo che sua madre, la quale incoraggiava il suo comportamento, dovevano andarsene, e cominciò ad appoggiare il nipote Alessiano, figlio di Mammea. Mesa e Mammea convinsero Eliogabalo di adottare il cugino Alessiano e di dargli il titolo di Cesare con il nuovo nome di Marco Aurelio Alessandro. Più tardi Eliogabalo cambiò idea e cercò di deporre
Alessandro, ma le guardie pretorie si ribellarono e uccisero sia lui che
sua madre, dopo di che trascinarono i loro corpi per le vie di Roma e li
gettarono nel Tevere.
Alessandro Severo Alessandro
Severo (208 - 235) (Imperatore 222 - 235).
Sembra che Severo avrebbe potuto diventare un grande imperatore se il suo regno fosse stato più pacifico, mentre invece ci furono almeno tre rivolte durante il suo impero. Benché avesse cercato di restituire al senato il prestigio e i poteri perduti, non riuscì a proteggere Ulpiano dalle ire dei pretoriani, i quali lo uccisero. Nel 225 sposò Sallustia Orbiana, ma due anni dopo la moglie fu esiliata nella Libia e suo padre condannato a morte, accusato di aver complottato contro l’imperatore. Più tardi un certo Taurino si autoproclamò imperatore ma finì annegato nell’Eufrate. Fu però la sua inesperienza militare a procurare
la sua fine prematura. Nel 230 e nel 231, il re persiano Ardeschir
aveva invaso la provincia romana di Mesopotamia (l’odierno Iraq).
Severo divise le sue forze in tre eserciti, invase la Mesopotamia e nel
233 tornò a Roma per celebrare il trionfo della sua vittoria.
Ma a Roma non poté rimanere a lungo perché la guerra combattuta
in oriente aveva indebolito i confini settentrionali incoraggiando gli
Alemanni ad invadere la Gallia e i Marcomanni ad attraversare il Danubio.
Severo marciò verso la Gallia e riuscì a far indietreggiare
il nemico, non con l’uso delle armi ma, dietro suggerimento della madre,
con forti somme di denaro. Questo indignò i suoi soldati che
si rivoltarono, acclamarono imperatore il loro comandante Cajo Giulio
Vero Massimino, e uccisero Severo insieme alla madre mentre era
accampato nella sua tenda. Alla sua morte Severo aveva soltanto 27
anni ma lasciò la sua impronta a Roma con la costruzione di opere
pubbliche, tra cui l’ultimo degli undici grandi acquedotti, chiamato aqua
alexandrina, le Terme Neroniane nel Campo Marzio e le Diaetae Mammaeae,
appartamenti costruiti per la madre sul Palatino. Presso di lui trovarono
appoggio lo storico Dione Cassio e il biografo Mario Massimo.
Cajo Giulio Vero Massimino Cajo Giulio Vero Massimino (173-238) (Imperatore 235-238). Massimino era un uomo rozzo e imponente, alto 2.6 metri e di tale forza che da solo poteva trainare un carro da buoi. Nato in Tracia (l’odierna Bulgheria), fu il primo soldato che, grazie al suo coraggio e al suo valore, da comandante di legione divenne imperatore. Tra lui e il suo predecessore, il raffinato e gentile Alessandro Severo, il contrasto era enorme. Massimino non riuscì mai ad ingraziarsi il Senato e fu anche poco diplomatico nei riguardi delle truppe romane che risiedevano in Africa e Asia, procurandone il malcontento e più tardi la propria rovina. Con lui il declino dell’impero romano accelerò pericolosamante mentre numerosi imperatori si susseguivano al potere. Dopo aver distrutto le truppe germaniche che Severo aveva allontanato con somme di denaro, Massimino viene acclamato dai suoi soldati con i titoli di Germanico Massimo, Sarmatico Massimo e Dacico Massimo. Ma ben presto cominciano vari complotti contro di lui. Nell’anno 238 si susseguono o coesistono altri cinque imperatori. In Africa i possidenti di terreno si ribellano contro il sistema fiscale eccessivamente oneroso imposto da Massimino per sovvenzionare le sue campagne e proclamano imperatore il proconsole Gordiano, che aveva ottant’anni ma era ricchissimo e di illustre famiglia. Gordiano nomina il figlio Gordiano II co-imperatore ed entrambi entrano trionfalmente a Cartagine. La loro elezione viene convalidata dal Senato, felice di liberarsi di Massimino. Ma Massimino e le sue truppe marciano verso Cartagine, dove sconfiggono l’esercito di Gordiano. Gordiano II muore nella battaglia e Gordiano si suicida. Sempre nel 238, a Roma il Senato decide di continuare la lotta contro Massimino e proclama due imperatori: Clodio Pupieno Massimo e Decio Celio Calvino Balbino. Ma il popolo non ne accoglie favorevolmente la scelta, perciò il Senato nomina un terzo imperatore, Gordiano III, nipote di Gordiano, che aveva soltanto 13 anni. Con Clodio Pupieno Massimo al comando, l’esercito si avvia
verso l’Italia settentrionale per combattere contro Massimino, cha aveva
lasciato la frontiera del Danubio ed era entrato in Italia. Ma Aquileja,
la prima città che incontra nel suo percorso verso Roma, chiude
le sue porte e non lascia passare l’esercito. Dopo un mese di assedio,
le truppe di Massimino si ribellano e uccidono sia Massimino che il figlio.
Gordiano III Gordiano III (225 – 244) (Imperatore 238-244). Dopo la morte di Massimino ad Aquileia, Gordiano III diviene dunque l’incontestato imperatore con l’appoggio sia del senato che dei soldati. Il reggente è Furio Sabinio Aquila Timetiseo, uomo di provata abilità e rettitudine. Nel 241 Gordiano III sposa Sabina Tranquillina, figlia di Timesiteo, e nomina il suocero prefetto del pretorio. Ma né l’imperatore né Timetiseo hanno tempo da dedicare alla attività legislative perché il nemico incalza ai confini dell’impero: in Persia i Sasanidi guidati da Shapur (Sapore), che nel 240 era successo al padre Ardeschir, erano penetrati nella Siria e minacciavano Antiochia; sul Danubio i Goti avevano saccheggiato la città di Istro; e più ad occidente i Carpi erano in rivolta. Nel 242 Gordiano va in Oriente dove sconfigge i Sasanidi a Resaina mentre Timesiteo si dirige verso il nord, dove sconfigge i Carpi e i Goti. Gordiano, riconoscente verso il suocero, chiede al senato di dare festeggiamenti in suo onore e sacrifici di ringraziamento agli dei, ma sfortunatamente nel 243 il valoroso prefetto muore di malattia a Chaboras. Al suo posto viene scelto M. Giulio Filippo (il futuro imperatore Filippo Arabo), che si era conquistato il rispetto dei soldati. A questo punto le versioni degli avvenimenti variano.
Secondo la fonte persiana, nel 244 l’esercito imperiale con a capo Filippo
si scontra di nuovo con i Sasanidi, ma questa volta Shapur vince.
In onore della sua vittoria viene eretto un monumento commemorativo che
in tre lingue proclama che Gordiano III è stato ucciso in questa
battaglia a Misiche, vicino a Bagdad. Le fonti romane invece non
parlano di questa battaglia e accusano Filippo di aver causato la morte
di Gordiano. Secondo questa versione, Filippo aveva provocato il
malcontento delle truppe, togliendo loro i viveri, per far ricadere la
colpa sull’inesperienza di Gordiano che fu perciò ucciso nel 244
a Zaita, presso Circesio, sull’Eufrate.
Filippo Arabo Filippo Arabo (201-249) (Imperatore 244- 249). Morto Gordiano, le legioni acclamano imperatore Filippo, il quale comunica al senato che Gordiano III è morto di malattia. Il Senato erige un mausoleo in suo onore e ratifica la nomina di Filippo. Filippo era nato nel villaggio di Shaba, vicino a Damasco, villaggio a cui, una volta imperatore, Filippo diede il nome di Filippopoli. Nel 230 aveva sposato Marcia Otacilia Severa e da lei aveva avuto un figlio, Marco Giulio Severo Filippo. Sia Filippo che il fratello Gaio Giulio Prisco avevano servito come prefetti sotto Gordiano III. Filippo aveva fretta di tornare a Roma temendo che altri
potessero ambire al suo titolo, perciò per prima cosa si accinse
a far pace con i Sasanidi. Come aveva fatto l’imperatore Macrino
nel 218, Filippo riuscì nel suo intento elargendo grandi somme di
denaro, anche lui suscitando il malcontento delle truppe.
Ma a Roma non rimane che brevemente perché nel 245deve recarsi in Dacia, che è di nuovo stata invasa dai Carpi ed altre tribù Germaniche. Dopo due anni di guerra sul Danubio, riesce a sottomettere gli invasori e nel 247 torna a Roma per celebrarne il millenario della fondazione con grandi fasti. Infatti, benché il calendario giuliano fosse in vigore dai tempi di Giulio Cesare, veniva osservato anche il calendario Romano vigente dai tempi di Numa, secondo il quale il 21 aprile veniva celebrato il millennio della città di Roma. Ma il 248 segna un anno difficile per Filippo: è
l’anno in cui molte ribellioni si susseguono in vari luoghi dell’impero
sobillate da vari ribelli: Silbannaco sul Reno, Sponsiano e Pacatiano
sul Danubio, Giotapiano nella Siria, Marino nella Mesia.
Tuttavia la situazione sul Danubio rimane critica e richiede l’intervento di Filippo, che manda Decio a governare la Mesia e la Pannonia. Decio ristabilisce l’ordine in poco tempo, guadagnandosi il rispetto dei soldati che lo proclamano imperatore nel 249. Inutilmente Decio protesta di non volere il titolo; Filippo non gli crede e muove il suo esercito contro di lui, non lasciandogli perciò altra scelta che quella di difendersi. I due eserciti si scontrano presso Verona, dove Filippo è sconfitto ed ucciso insieme al figlio dodicenne. Un elemento nella vita di Filippo Arabo che ha ricevuto
molta attenzione è la sua religione: infatti, 75 anni dopo
la sua morte, Eusebio e altri cristiani avevano sparso la voce che Filippo
fosse stato un cristiano lui stesso. Pare invece che non si possa
dare alcun affidamento a questa credenza, forse dovuta alla sua tolleranza
religiosa, perché non fu mai corroborata da scrittori non cristiani.
Gaio Messio Decio Gaio
Messio Decio (190-251) (Imperatore 249-251). Dopo la vittoria
su Filippo Arabo a Verona, il Senato si affrettò a confermare l’elezione
di Decio a imperatore anche se lui persisteva nel dichiarare di essere
stato nominato contro la propria volontà.
Ma nel 250 Decio dovette dedicare la sua attenzione a pericoli
più pressanti. Infatti le orde dei Goti avevano attraversato
il Danubio, saccheggiato la Mesia e assediato le fortezze di Nova e Marcianopoli.
Il sopraggiungere di Decio spinse i Goti ad abbandonare l’assedio ed a
spingersi fino a Filippopoli, che fu assediata e sconfitta. Decio
riorganizzò il suo esercito e bloccò il passaggio dei Goti
sui Balcani, ma dopo alcuni scontri il suo esercito fu sconfitto e sia
Decio che il figlio Erennio Etrusco furono uccisi in battaglia.
Treboniano Gallo Treboniano Gallo (206 –253) (Imperatore 251-253). Dopo la morte di Decio, l'esercito della Mesia proclamò imperatore Treboniano Gallo. Giunto a Roma , Gallo deificò Decio ed Erennio e diede il titolo di Cesare al secondo figlio del morto imperatore, Caio Valente Ostinano. Poco tempo dopo, quando Ostiliano morì di peste, Gallo associò nell'impero il proprio figlio Volusiano, che aveva sposato una figlia di Decio. Seguendo l’esempio di Decio, anche Gallo perseguitò i Cristiani ma con i Goti concluse una pace simile a quella che Domiziano aveva concluso con i Daci, permettendo loro di lasciare il territorio dell' impero con il bottino di guerra e i prigionieri e promettendo loro larghe somme di denaro. Le legioni si ribellarono contro queste condizioni che
consideravano disonorevoli e si unirono al generale mauritano Emilio Emiliano,
il quale aveva promesso che li avrebbe ricompensati dando loro il denaro
che Gallo aveva promesso ai Goti.
Emilio Emiliano Emilio
Emiliano (207 – 253) (Imperatore 253). L’impero di Emiliano
durò poco più di tre mesi. Benché il Senato
avesse ratificato la sua nomina, i soldati di Gallo e Volusiano avevano
proclamato imperatore il loro comandante, Publio Licinio Valeriano,
il quale, con un esercito più forte e numeroso di quello di Valeriano,
si preparava a combattere per ottenere il titolo di imperatore. I
soldati di Emiliano, sapendo di non essere in grado di vincere, trucidarono
Emiliano vicino a Spoleto e si schierarono dalla parte di Valeriano.
Valeriano e Gallieno Valeriano(200 – 260) (Imperatore 253 - 260) e Gallieno (218 – 268) (Imperatore 253-268). Come abbiamo visto precedentemente, il senatore Licinio Valeriano aveva esercitato la carica di censore sotto l’imperatore Decio, una posizione importante e rispettata che lo aveva reso popolare presso i senatori. Inoltre veniva da nobile e antica famiglia romana, perciò la sua scelta fu sanzionata con entusiasmo dal Senato, che approvò pure quando associò all’impero il figlio Egnazio Gallieno con il titolo di Augusto. Le continue invasioni e ribellioni ai confini dell’impero convinsero Valeriano che era meglio dividere il potere, per cui diede il governo delle operazioni militari in Occidente al figlio e tenne per sé la parte orientale. Benché la storia non gli abbia perdonato le persecuzioni dei Cristiani sia durante l’impero di Decio che durante il suo impero, Valeriano fu un imperatore saggio e irreprensibile. In principio Valeriano e Gallieno ebbero abbastanza successo nel proteggere la Gallia contro gli invasori germanici, ma durante gli anni 257-258, le invasioni aumentarono: in occidente i Franchi entravano nella Gallia e la Spagna e gli Allemanni invadevano l’Italia, mentre nell’oriente i Goti minacciavano l’Asia Minore e i Persiani invadevano la Siria. Dopo aver fermato l’invasione dei Goti, l’esercito di Valeriano era in pessime condizioni, decimato dalla peste e dalla mancanza dei viveri, perciò l’imperatore pensò di venire a trattative con Shapur, il re dei Persiani. Invitato da Shapur a un convegno, vi si recò con una scorta poco numerosa e fu fatto prigioniero. Durante la sua prigionia Valeriano subì molte umilaizioni e dopo qualche anno fu ucciso. Gallieno, ora il solo imperatore, non seguì la politica del padre nei riguardi dei Cristiani, con i quali concluse trattative di pace che durarono quaranta anni. Ma spesso alienò i senatori, che videro il loro potere molto diminuito durante il suo impero; infatti venivano sempre più esclusi dal comando militare che invece veniva dato ai figli dei centurioni. Gallieno dovette affrontare numerose provocazioni contro
la sua autorità nella Gallia, dove le truppe si ribellarono e acclamarono
vari imperatori; tuttavia per qualche anno riuscì a mantenere la
pace e nel 262 celebrò i Decennalia (dieci anni di
impero) con molta pompa e con grandi feste. Sotto di lui l’impero
godé di un periodo di tranquillità e di pace, un ritorno
all’ammirazione della civiltà ellenica, un rinascimento delle arti
e della filosofia, di cui il maggior esponente era il filosofo Plotino.
Ma presto le invasioni dei Goti ricominciarono e Gallieno dovette tornare
in Grecia, dove fu assassinato a tradimento insieme al figlio e al fratello.
Claudio II il Gotico Claudio II il Gotico, 214 - 270 (Imperatore 268 – 270). A Gallieno succedette Marco Aurelio Valerio Claudio, il quale non era romano, ma illirico; Claudio si era distinto nella carriera militare in cui era riuscito a raggiungere una posizione elevata. Nel 268 gli verrà dato il titolo di Gotico per il suo successo nella guerra contro i Goti, che sconfisse a Naisso (Nisch), nella valle della Morava, in una sanguinosa battaglia nella quale i Goti subirono una terribile disfatta mentre i Romani ebbero un enorme bottino di guerra e fecero moltissimi prigionieri. Nel 270, quando l’impero orientale fu minacciato da Zenobia, regina di Palmira, Claudio diede il comando della campagna contro i Goti al generale Aureliano e decise di affrontare il nemico in oriente. Stava preparandosi a marciare verso la Pannonia, quando fu colpito dalla peste e morì a Sirmio sulla Sava nel marzo del 270. Alla morte di Claudio, il Senato proclamò imperatore
il fratello di lui, Claudio Quintilio, ma le milizie non lo riconobbero
e misero sul trono il generale Domizio Aureliano.
Domizio Aureliano Domizio
Aureliano, 214-275 (Imperatore 270–275).
Sotto di lui la disciplina delle milizie venne restaurata e l'impero riconquistò la sua unità. Combatté molte guerre ma riuscì sempre vittorioso: nel 270 sconfisse gli Jutungi, che avevano attraversto il passo del Brennero, e i Vandali nella Pannonia. Nel 271 dapprima subì una sconfitta vicino a Piacenza quando nuove orde di invasori ? Goti, Jutungi e Allemanni ? invasero l’Italia, ma ben presto riuscì a sopraffarle presso il Metauro, le costrinse a ripassare il Po e le inseguì fino al Ticino, dove le sconfisse in una lotta sanguinosa. Tornato a Roma, per calmare la popolazione allarmata dalle sempre più frequenti invasioni barbariche, Aureliano ordinò che la città venisse cinta da mura di difesa per proteggerla dalle invasioni. La costruzione delle mura Aureliane continuò durante tutto il suo impero e fu portata a termine dopo la sua morte. Dopo aver cacciato i Goti dalla penisola balcanica, Aureliano
decise di sacrificare la Dacia, che era sempre stata il punto più
debole dell’impero, giudicando giustamente che il costo di difenderla avrebbe
comportato troppi sacrifici economici. I coloni Daci furono ricollocati
nella Mesia e nella Tracia, che furono chiamate Dacia ripensis e Dacia
mediterranea con capitale Sardic (Sofia).
Dopo questi successi militari, Aureliano si dedicò a governare l’impero. Per prima cosa revisionò il sistema monetario e usò le tasse ottenute dall’annessione dei nuovi territori per riempire le casse del tesoro. Roma sembrava sulla via di riacquistare il suo antico splendore. Nel 274 Aureliano stava preparandosi per la riconquista
della Mesopotamia dai Persiani ed era sulla strada verso Bisanzio quando
fu ucciso in una congiura organizzata dal suo segretario.
Marco Aurelio Caro
Marco Aurelio Caro 224-283 (Imperatore 282-283)
Alla morte di Probo le legioni acclamarono imperatore M. Aurelio Caro, il prefetto del pretorio. Caro non si curò neppure di chiedere l’approvazione del Senato, limitandosi semplicemente a notificarlo a elezione avvenuta. Prima ancora di andare a Roma, Caro si diede da fare per stabilire la sua dinastia e diede il titolo di Cesare ai suoi due figli, Carino e Numeriano. Ben presto l'impero vide di nuovo le frontiere assalite dai nemici: i Franchi sul Reno; gli Alemanni, i Quadi e i Sarmati sul Danubio; i Persiani sull'Eufrate. Insieme al figlio Numeriano, Caro si recò in Oriente, lasciando il comando dell’impero occidentale al figlio Carino, e nel 283 invase la Mesopotamia e sconfisse i Persiani. A Roma, per celebrare questa vittoria, Carino fu dichiarato imperatore dell’impero d’occidente. Approfittando della debolezza dei Persiani, in declino fin dalla morte del loro re Shapur, Caro stava preparandosi a muovere il suo esercito verso l’interno della Persia quando fu trovato morto nella sua tenda a Ctesifonte, forse vittima di un fulmine o forse avvelenato. Aveva regnato meno di un anno. Numeriano, proclamato dall’esercito come suo successore, con il consenso dell’esercito decise di tornare a Roma. Numeriano era più un intellettuale che un guerriero ed aveva anche scritto poesie ben note negli ambienti romani. Inoltre soffriva di una malattia agli occhi che lo aveva reso quasi cieco, tantoché doveva essere portato in una lettiga. Guidava l'esercito Arrio Apro, prefetto del pretorio e suocero di Numeriano. Apro aveva dato l’ordine di non aprire la lettiga per nessun motivo e ai soldati fu detto che l’imperatore era troppo malato per apparire in pubblico. Ma nei pressi di Nicomedia i portantini cominciarono a sentire un forte fetore. La lettiga fu aperta e Numeriano fu trovato morto. Apro, che forse sperava di essere acclamato imperatore, venne subito sospettato dalle truppe come l’autore del delitto. Al suo posto l’esercito elesse imperatore Valerio Diocle, il comandante della guardia del corpo. In nome dell’esercito romano Diocle accusò Arrio Apro di regicidio e lo trafisse con la spada. Era il 17 novembre dell' anno 284. Alla notizia della morte del fratello e della proclamazione di Diocle, Carino mosse il suo esercito contro il rivale. Nella valle del Margus venne a battaglia con Diocle e pare che stesse per vincere quando all'improvviso cadde pugnalato da uno dei suoi tribuni (a cui pare avesse sedotto la moglie). Alla sua morte anche l'esercito di Carino riconobbe Diocle come imperatore.
Gaio Aurelio Valerio Diocleziano
Gaio Aurelio Valerio Diocleziano 245 – 316 (Imperatore 284-305)
Diocle era, naturalmente, l’imperatore Diocleziano. Nato a Solona sulla costa dalmata (oggi Solin, Croazia), Diocleziano era un uomo poco colto ma di grande ingegno ed esperienza, acquistata durante la lunga carriera militare che aveva iniziato da giovanissimo. La sua ascesa al potere, come abbiamo visto precedentemente, avvenne il giorno in cui uccise Arrio Apro, (latino Aper, che significa cinghiale) il prefetto del pretorio. Infatti gli era stato predetto che sarebbe diventato imperatore il giorno in cui avesse ucciso un cinghiale. Diocleziano arrivò al potere dopo un secolo di disorganizzazione,
discordie interne, collasso economico e invasioni barbariche. Da
uomo pratico decise che l’impero era troppo grande per essere governato
da un solo imperatore, e così ne divise l’amministrazione in due
parti con a capo due imperatori, ciascuno con il titolo di Augustus:
la parte occidentale, la cui sede era Milano, la diede al suo fidato collaboratore
Massimiano,
anche lui illirico, di umile origine, e senza alcuna cultura; la parte
orientale, la cui sede stabilì a Nicomedia, la tenne per sé,
una corte tipicamente orientale dalle cerimonie elaborate e sontuose.
Inoltre Diocleziano decretò che sotto i due Augusti ci fossero due Caesars, stabilendo in questo modo che la successione fosse garantita a chi aveva già molta esperienza nell’amministrazione dell’impero e precludendo il potere ai vari generali ambiziosi, come era successo nel passato. Il Cesare scelto da Diocleziano fu Valerio Galerio mentre Massimiano scelse Flavio Costanzo (padre del futuro imperatore Costantino I), detto Cloro per il suo pallore. I due Cesari salirono al potere nel 293 e per rinforzare i vincoli tra di loro Galerio sposò Valeria, la figlia di Diocleziano, mentre Cloro ripudiò la moglie Elena, madre del futuro imperatore Costantino I, per sposare Teodora, figlia di Eutropia, moglie di Massimiano. Con questa nuova forma di governo a quattro, chiamata tetrarchia, l’impero rimase patrimonium indivisum mentre la sua amministrazione fu divisa in quattro parti: Diocleziano tenne la Libia, l’Asia e l’Egitto; Galerio l’Illiria, le regioni del Danubio e la Grecia; Massimiano l’Italia, la Sicilia, la Sardegna e l’Africa; e Costanzo la Gallia, la Spagna e la Britannia. Per consacrare il loro potere, Dicleziano decretò che sia lui che Massimiano erano Diis geniti et deorum creatores (figli di dei e creatori di dei) e si fece chiamare Giove, mentre il nome di Massimiano diventò Ercole. L’impero era diventato una teocrazia. Tuttavia queste riforme furono utili a ristabilire l’ordine e a frenare almeno temporaneamente l’anarchia. Tribù ribelli furono soggiogate da Massimiano in Gallia, da Costanzo Cloro in Britannia, da Diocleziano in Egitto, da Galerio in Persia, ma nel 299 inizia un periodo di tranquillità per l'impero: i confini, che vanno dal Mare del Nord al Tigri, dall'Atlantico al Mar Rosso, sono sicuri. La tetrarchia, che più tardi sarà la rovina dell’impero, per ora dà buoni risultati. Tra le molte reforme di Diocleziano è da notare quella amministrativa: il Senato viene privato della sua funzione legislativa che ora passa al Concistorium principis; il numero delle provincie sale da 57 a 96 e per evitare che questo frazionamanto indebolisca l’autorità del corpo centrale, vengono create 12 diocesi governate da vicari; nelle provincie il potere civile viene diviso da quello militare, riducendo il rischio che il possa cadere nelle mani di persone incompetenti e inadatte; la specializzazione aumenta insieme alla burocrazia. Nuove monete vengono coniate e, per riempire le casse dello stato, il privilegio dell’esenzione delle tasse viene tolto ai popoli italici e mantenuto soltanto per gli abitanti del territorio di Roma. Gli ultimi anni dell' impero di Diocleziano furono oscurati dalle persecuzioni contro i Cristiani. Il Cristianesimo si era diffuso in tutto l'impero, negli ambienti poveri come in quelli ricchi e potenti ed era persino arrivato alla corte di Diocleziano, la cui moglie e figlia pare fossero cristiane. Il Cristianesimo era già a quel tempo un’istituzione molto bene organizzata che disponeva di grande potere e ricchezze, ma le sue dottrine erano un elemento dissolvente dell’impero, perché tra l’altro negava la divinità dell’imperatore. Diocleziano non era particolarmente religioso, ma era molto tradizionale e voleva ripristinare il culto pagano antico come un importante elemento di romanità. La pressione del suo consiglio privato e di Galerio, fanatico seguace della religione pagana, lo forzarono a pubblicare quattro editti (303-304) nei quali proclamava che i cristiani che non avessero rinunciato alla loro fede sarebbero stati privati dei loro beni e incarcerati. Gli editti non furono applicati nello stesso modo in tutte le provincie: in occidente le persecuzioni furono miti mentre in oriente, specialmente sotto Galerio, furono spesso violente. Nel 305, dopo venti anni di regno, Diocleziano decise di abdicare, costringendo
Massimiano ad abdicare con lui. Si ritirò nell’immenso palazzo
che aveva fatto costruire a Solona, in Dalmazia, la città dove era
nato, dopo aver proclamato Galerio suo successore (e Massimino
Caio il suo Caesar). A Massimiano succedeva Costanzo
Cloro, con Flavio Saverio Severo come suo Caesar.
L’IMPERO OCCIDENTALE
Flavio Giulio Costanzo Cloro Flavio Giulio Costanzo Cloro (circa 250 - 306)
Flavio Giulio Costanzo Cloro proveniva da una umile famiglia
dell’Illiria, e, come altri imperatori di quel periodo, era riuscito a
raggiungere una posizione importante per mezzo della carriera militare.
Il soprannome Cloro (pallido), come abbiamo già visto, gli fu dato
per il suo pallore. Nel 280 aveva avuto una relazione (o forse aveva
sposato) Elena, la figlia del proprietario di una taverna, e da lei aveva
avuto un figlio, Costantino. Ma nel 289 Massimiano ordina
a Costanzo di sposare la sua figliastra Teodora di lasciare Elena.
Con Teodora Costanzo Cloro avrà tre figli: Dalmazio, Costanzo e
Costanza, mentre il figlio Costantino viene mandato a vivere alla corte
di Galerio, il Caesar di Diocleziano.
Marco Aurelio Massenzio Marco Aurelio Massenzio (279-312)
Valerio Liciniano Licinio Valerio Liciniano Licinio (250 – 325)
Nato in Illiria ed anche lui di umili origini, Licinio viene elevato al rango di Augustus da Galerio, sperando di farne l’unico Augustus dell’occidente. Ma dato che Massenzio regnava sull’Italia, l’Africa e la Spagna e Costantino sulla Gallia e la Bretannia, Licinio deve accontentarsi della Pannonia. Nel 311, dopo la morte di Galerio, Licinio sposa Costanza, la sorellastra di Costantino, e combatte contro Massimino, successore di Galerio, conquistando la parte est dell’impero orientale. Fino al 314 Licinio e Costantino coesistono pacificamente, come vedremo più avanti. Cosi, al principio del 308, l'impero aveva cinque Augusti: Galerio e Massimino in oriente; Massenzio, Costantino e Licinio in occidente. Poco dopo Massimiano, pentito di aver abdicato, tenta di riprendersi il titolo di Augustus per la terza volta. Approfittando dell’assenza di Costantino, che era andato a reprimere una ribellione dei Galli, s'impadronisce della cassa dello stato, distribuisce il denaro ai soldati della Gallia, e ad Arles si proclama imperatore. Al ritorno di Costantino si rifugia a Marsiglia ma i suoi soldati non lo difendono e lo consegnano a Costantino. Massimino muore poco dopo, nel febbraio del 310, non si sa bene se suicidato o assassinato. L'EDITTO DI NICOMEDIA
L’EDITTO DI MILANO
(continua)
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